L’inchiesta penale successivamente sfociata nel processo in corso a Napoli contro Luciano Moggi e presunti associati – forse non tutti lo sanno – non nasce da un’indagine da subito diretta nei confronti dell’ex dirigente bianconero, ma da una, antecedente, riguardante un giro di scommesse clandestine. A Moggi si arriva per gradi, tra intercettazioni, sentito dire e sospetti di colleghi e antagonisti. La “genesi” di Calciopoli parte da lontano, da due anni prima. Uno dei protagonisti principali suo malgrado è un ex calciatore del Grosseto Calcio, tale Salvatore Ambrosino, interrogato nel maggio del 2004 per ben tre volte in sette giorni dai Pm Filippo Beatrice e Giuseppe Narducci. “Il pentito”, coinvolto più di tutti nelle intercettazioni, collabora con la procura per cercare di tradurre alcune espressioni gergali e a dare un volto a diversi soprannomi usati nelle telefonate. Finiscono così nel mirino 5 squadre di Serie A (Chievo, Modena, Reggina, Sampdoria e Siena), alcune anche di prestigio di B (Venezia, Napoli, Como), allenatori come Papadopulo e Del Neri (quest’ultimo è incorruttibile, ma paga per la omessa denuncia), dirigenti come Salerno e Tosi e il presidente del Modena Amadei. Tra gli altri, spuntano anche fuori i nomi di alcuni arbitri, due in particolare: “l’uomo nero” Luca Palanca e “il ciociaro” Marco Gabriele, immediatamente sospesi dai designatori Bergamo e Pairetto. Il nostro Ambrosino, prima e dopo l’incontro Venezia-Messina, si dice sicuro della vittoria della squadra “ospite” non tanto per una combine tra le due squadre, quanto perché “l’uomo nero” fosse legato al Messina di Fabiani. Gli inquirenti, a questo punto, interrogano sia l’allenatore del Venezia, Gregucci, sia soprattutto il suo presidente, Franco Dal Cin (le due presunte “vittime”). Quest’ultimo, in particolare, confessa di aver ricevuto prima della partita una telefonata da parte di tre colleghi (Cellino, Spinelli e Zamparini) i quali gli rivelarono come non avesse chances contro i siciliani poiché l’arbitro fosse “loro”. Poco importa che i tre fossero tutti in lotta per la promozione col Messina, e che quindi potessero cadere nella tentazione di lasciarsi andare a malignità interessate o paranoie: Dal Cin lo riferisce nel giugno del 2004 sia alla giustizia sportiva sia ai pm napoletani, confermando come “l’opinione condivisa dalla maggior parte dei miei colleghi è che la società calcio del Messina sia stata in diverse occasioni agevolata allorquando gli incontri da questa disputati erano diretti da un gruppo di arbitri facenti parte della cosiddetta ‘combriccola romana’ “. La prova? Un si dice, letterale. Ma evidentemente basta. Il legame sarebbe in particolare con la Gea, società (fatto smentito da un tribunale, nel frattempo) “della famiglia Moggi” che gestiva la procura della maggior parte dei calciatori della società dello Stretto, che così di fatto “controllava” (smentito anche questo, per la cronaca). Il link è quindi questo: Messina – Palanca – combriccola romana – Gea – Moggi’s. Il pesce grosso finalmente all’amo, ed è proprio il dirigente della Juventus: quelli piccoli vengono di fatto dimenticati da tutti (finirà con la mano morbida della giustizia sportiva con dirigenti e squadre graziate e con rinvii a giudizio arrivati solo due anni dopo). E’ così che, con una battuta, si è passati da Ambrosino Salvatore ad Ambrosino Marcello, l’ex assistente di gara che chi segue il processo a Napoli conosce soprattutto perché primo nell’appello che, ad ogni udienza, il presidente Casoria legge espletando le formalità di rito (tecnicamente è il “processo a Marcello Ambrosino ed altri”, con Moggi che fa parte degli “altri”). Ma su Luciano Moggi e Antonio Giraudo aveva provato a metterci “le mani” anche il procuratore di Torino Marcello Maddalena (a seguito anche qui di un’altra inchiesta, questa volta sul doping). Il procuratore torinese mette infatti sotto intercettazione le utenze dei due dirigenti bianconeri e – scoperti una serie di rapporti telefonici con il designatore Pierluigi Pairetto (e con altri membri della CAN e della FIGC) – prima ipotizzata il reato di associazione a delinquere (non ottenendo però la proroga alle intercettazioni dal GIP che non ne rileva elementi sufficienti), poi – equiparato il ruolo del designatore arbitrale a quello di un pubblico ufficiale – Pairetto viene iscritto nel registro degli indagati per il reato di cui all’art. 319 c.p. (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio) e gli ex dirigenti bianconeri per il reato di cui all’art. 321 c.p. (pene per i corruttori). Il GIP, concessi 15 giorni di intercettazioni, pur riconoscendo il ruolo “pubblico” del designatore, si trova costretto a negare ulteriore proroga, essendo le intercettazioni attenzionate fino ad allora rivelatesi “infruttuose” e Maddalena, correttamente, chiede e ottiene l’archiviazione. A Napoli, invece, Narducci e Beatrice sono determinati ad andare avanti, e dispongono oltre 100.000 intercettazioni (finiranno per essere quasi 180.000) ottenendo, a differenza di Torino, il permesso di prorogare l’uso delle stesse un numero smisurato di volte, probabilmente spesso anche senza reali riscontri oggettivi. Il pesce, come detto, era troppo grosso per mollare la presa. In occasione del rinvio a giudizio, si parlerà (finendo sui giornali) di P2, di metodi di associazione criminale e di rete di comunicazioni segrete, conferendo al processo quasi più rilevanza di uno per camorra. Nascerà “Calciopoli”, da un Salvatore fino ad un Marcello, passando per l’altro Marcello, il procuratore Maddalena. Il resto è storia.