La partita disputata contro il Monza, secondo molti, sarebbe dovuta essere l’ultima con in panchina Massimiliano Allegri. Non solo la sua Juve ha infatti perso contro l’ultima in classifica, una squadra che poche ore prima aveva cambiato allenatore lanciando un esordiente assoluto, ma lo ha fatto chiudendo un mini-ciclo di 5 partite senza vittorie disputate nel mese di settembre.
In campionato, i bianconeri sono ottavi a pari punti con il Torino di Juric: i 10 punti su 21 raccolti sono meno di quanto fatto l’anno scorso e bisogna tornare indietro alla famosa stagione 2015/16, quella della “rimonta” da record sul Napoli di Sarri, per trovare una partenza peggiore; in Champions, dopo due giornate, la Juventus è a 0 punti ed è chiamata ad un’impresa, la qualificazione agli ottavi dopo due sconfitte iniziali, che è riuscita solamente 12 volte finora nella storia della competizione, ma che è ancora matematicamente possibile.
Secondo quanto letto da giornalisti informati, inoltre, pare che l’idea alla Juve sia quella di dare sempre maggiori responsabilità a Paolo Bianco, da luglio nuovo collaboratore di Massimiliano Allegri, e soprattutto al prof. Giovanni Andreini, arrivato anche lui a luglio e coordinatore dell’area performance del club (ma, di fatto, preparatore atletico). Perché la squadra avrebbe sfiduciato l’attuale preparatore Folletti, dicono alcuni. E perché, da quest’anno, come già scritto, Allegri ha ritenuto di dover cambiare qualcosa migliorando la costruzione dal basso (che addirittura fino a pochi mesi fa faticava a comprendere ottenebrato da discorsi ideologici e convinzioni immutabili) e recuperando palla più in avanti per lasciare meno lontani e meno soli gli attaccanti.
Proprio questo, ovvero proprio le intenzioni sbandierate più volte e ribadite nelle interviste rilasciate quest’anno (il concetto di dover “correre in avanti e non indietro”, le ampie indicazioni in partita di salire, ecc…) preoccupano perché, la squadra, troppo spesso pare fare l’opposto di quanto le viene detto. Come mai, perciò, la Juventus gioca così “male” (da non confondersi col concetto di “bello” o “brutto”, che nel calcio lascia sempre il tempo che trova) e come mai Allegri, evidentemente, non riesce a farsi capire dai propri giocatori? È una questione tattica? Allegri non si sta davvero riuscendo a far capire dai calciatori (vedi voci che vorrebbero tra gli altri Bremer “confuso” sul da farsi in campo)? È paura? Appagamento? Inesperienza? La colpa è della preparazione atletica? Le domande sono tante, tutte lecite.
Iniziamo da una breve analisi di campo. Non si può non partire dalla gara contro il Monza, apice di tutti i problemi visti quest’anno finora. Premessa: tanti, anche autorevoli analisti (che ho contattato in privato e di cui non faccio il nome), ritengono che la squadra abbia sostanzialmente “giocato contro”. Metterei un attimo da parte questa ipotesi, perché – seppure plausibile – si sarebbe in quel caso già ampiamente superato il punto di non ritorno e non ci sarebbe alcuna giustificazione logica per continuare con la stessa guida tecnica. Diamo per scontato, perciò, che quanto visto in campo sia stato frutto di difficoltà di campo e non un ammutinamento, anche perché è evidentemente anche la considerazione che ha fatto la società.
Ho rivisto a mente fredda la partita e la cosa che mi è subito balzata agli occhi è l’atteggiamento della squadra, troppo passivo senza palla fino all’autolesionismo. Questa sarebbe dovuta essere la gara “più importante della stagione”, quella seguita alla brutta prestazione con la Salernitana (ho parlato di prestazione, so bene che ci mancano dei punti) e a quella ancora peggiore col Benfica. Quella che per molti avrebbe deciso le sorti dell’allenatore livornese sulla panchina bianconera. Non può essere stata, dunque, una gara presa sottogamba, sottovalutata o affrontata con la testa altrove.
Entriamo perciò nel merito. Sappiamo che l’idea di Allegri è tendenzialmente quella di difendere con due linee da 4. Troppo spesso, però, nel suo secondo ciclo bianconero, queste risultano troppo vicine tra loro e troppo basse: se così da un lato si cerca di proteggere con 8 uomini (più il portiere) l’area di rigore per cercare di non subire gol dando solidità alla squadra, dall’altra si corre il rischio di concedere troppo la manovra agli avversari.
Tutto ciò si è visto, in maniera direi addirittura clamorosa, proprio nell’ultima gara disputata. Vi pongo l’attenzione su alcune situazioni che ho fotografato. Nella prima, avvenuta dopo 3-4′ dall’inizio della partita, si può vedere bene come la squadra dell’esordiente Palladino abbia scelto di attaccare la nostra difesa schierata con 5 uomini a circondare l’area di rigore bianconera (2 esterni alti e 3 sulla trequarti), oltre a 3 attaccanti a riempire l’area. Come si può notare, la Juventus è bassissima, non si alza mai per contrastare i centrocampisti del Monza (in questa foto lo fa senza neanche troppa convinzione Paredes, in solitaria) e un errato scivolamento da destra verso sinistra costringe Di Maria, il nostro uomo di maggior qualità, ad abbassarsi così tanto da lasciare il solo Vlahovic in avanti, contro due difensori lombardi: disastro difensivo e disastro offensivo.
Altra situazione simile. Il Monza ha i soliti 2 esterni alti e addirittura 4 giocatori sulla trequarti oltre ai soliti 3 in area. Ve la scrivo diversamente: hanno 1 solo giocatore dietro la trequarti, oltre al portiere. E sì, è il Monza, non una squadra di Guardiola (ci torniamo). Vedete quanto spazio hanno per far circolare indisturbati la palla avendo comunque sempre tre uomini in area a ricevere un’eventuale imbucata?
Altra situazione. Queste sono tutte avvenute a inizio partita, in 11 vs 11. Juve bassissima senza motivo, passiva, impegnata troppo a tenere le linee compatte: il risultato è il centrocampo completamente consegnato al Monza e in particolare a Rovella (ci torniamo anche su questo).
Questa è, infine, l’occasione del gol. Stessa situazione: i soliti 5 giocatori del Monza a circondare l’area e 3 dentro; 8 nostri giocatori tutti nell’area di rigore e ampi spazi per far eventualmente circolare palla. A questo giro, il Monza decide di mettere una palla dentro e all’attaccante biancorosso basta infilarsi tra i nostri 2 centrali (Gatti e Bremer) per ricevere solo nell’area piccola e segnare il gol partita. Non solo quindi abbiamo 8 giocatori a marcarne 3 dei loro, ma ce li perdiamo pure.
Ho quattro considerazioni da porre al vostro giudizio, dopo aver visto queste immagini. La prima, è che – abbassandosi così tanto – prima o poi un errore lo si commette, o un fallo in area, o ci si perde un taglio. Di fronte avevamo il Monza ultimo in classifica, e viene da dire “meno male”, perché una squadra più forte avrebbe potuto finalizzare ancora più azioni da gol chiudendo il match molto prima.
La seconda considerazione è che, quando ci si ostina a dire “il calcio non è cambiato, è sempre lo stesso” si dice una cosa vera (si gioca sempre con una palla, 11 vs 11), ma al tempo stesso – a mio avviso – inesatta. Le regole, per carità, sono più o meno le stesse, ma voi ricordate 3-4 anni fa delle neopromosse che portavano costantemente 8 giocatori nella nostra trequarti ad attaccare l’area? Oggi, volente o nolente, questo è lo scenario, e a me – come ribadito più volte da tempo in podcast e articoli – pare diverso dal (recente) passato. Questa stessa gara, qualche anno fa, sarebbe probabilmente finita col Monza nella propria area a difendere con 10 giocatori dietro la linea della palla e un solo attaccante davanti, a chilometri, facilmente anticipato dai nostri difensori. Oggi lo facciamo noi.
Oggi, nessuno si accontenta più di fare quel tipo di calcio e bisogna essere preparati a “darle” e a “prenderle” in gare più aperte e con più temi tattici diversi rispetto al “come raggiriamo il muro avversario” che era quasi sempre lo scenario (altrettanto impegnativo, ma diverso) quando incontravamo una “piccola”. Sto estremizzando? Probabilmente sì, un po’. Il Monza aveva pur sempre segnato solo 3 gol subendone 14 prima di questa partita e attaccare con più uomini, alzarsi di più ed essere più propositivi non vuol dire necessariamente essere più forti: il Monza resta il Monza anche dopo questa vittoria, ma anche la Juve resta la Juve e quest’anno, difendendosi così bassi, ha tenuto la porta inviolata per 3 volte nelle prime 4 partite e poi in 0 delle successive 5. Se a questi dati aggiungiamo l’ottavo attacco del campionato, si spiega molto della classifica attuale.
Terza considerazione: non credo esista un allenatore che decida davvero di difendere così. Si può essere bassi per scelta, ma non passivi. Col Monza mancava qualcuno che chiamasse “le uscite” della squadra e che ordinasse alle linee di alzarsi (Bonucci? A proposito: perché?) e sono stati fatti male persino gli scivolamenti difensivi, manco fossimo ragazzini alle prime armi. Si tratta dell’ABC del calcio, soprattutto di una squadra che vuole essere “difensiva” come approccio. Bisognerebbe capire cosa stia impedendo a calciatori professionisti di questo livello di compiere anche la più banale delle letture (resta sempre valida l’idea boicottaggio, ma allora, appunto, stiamo sprecando parole). Allegri ha la sua grossa fetta di responsabilità, ma non è accettabile dalla squadra col monte ingaggi più alto del campionato che si vada così in difficoltà, spesso anche “mentale”, contro degli esordienti.
L’ultima considerazione, riguarda un concetto che sento spesso e che mi trova “completamente d’accordo a metà” (cit.). Mi riferisco all’idea che siano i calciatori a fare la differenza, più che “gli schemi” (banalizzazione: diciamo l’organizzazione tattica, che è cosa diversa e più giusta come concetto). Ovviamente, più forti sono i calciatori che hai in campo, maggiore è la possibilità di vincere. Ma non è una certezza, tanto è vero che poi si perde con l’ultima in classifica. Prendiamo la questione dell’assenza del “regista”, cavalcata tanto da alcuni giornali e da tanti opinionisti. Ad un certo punto, pareva non si potesse giocare a calcio senza Paredes. Proprio la gara contro il Monza, deve secondo me servire come monito contro queste “semplificazioni”: il migliore in campo è infatti risultato Nicolò Rovella, un altro regista – di nostra proprietà – che abbiamo deciso non fosse pronto e che abbiamo ceduto proprio per far spazio all’Argentino. Rovella, come abbiamo visto lasciato tutta la partita libero sulla trequarti, si è trasformato in una minaccia costante guadagnandosi gli elogi della stessa stampa di cui prima. Paredes, costretto a stare bassissimo con uno o massimo due giocatori davanti a lui, non ha potuto incidere e ha perso per questo nettamente il duello di centrocampo con il mancato collega. A giocatori invertiti, e a parità di situazione, non sarebbe cambiato nulla: avremmo assistito ad una partitona di Paredes nel Monza, e a un Rovella senza possibilità di fare nulla nella Juve. Quando perciò si dice che “i giocatori vincono le partite”, beh, sì, è generalmente vero. Ma ciò avviene solo se sono inseriti in un “contesto” funzionante, altrimenti anche il miglior giocatore del campionato (cambiamo esempio? Vlahovic?) fatica. Rovella è Pirlo? No. Ma per una partita abbiamo lasciato che lo fosse lasciandogli troppo spazio sulla trequarti. Paredes è scarso? No, ma l’abbiamo messo noi nelle condizioni di fare una figuraccia al cospetto del centrocampo degli ultimi d’Italia.
Ci sono ovviamente tante altre chiavi di lettura per analizzare il momento Juve, e quella tattica è certamente solo una di esse. Nel prossimo articolo, cercherò – facendomi aiutare da preparatori atletici professionisti – di capire un po’ quanto le performances viste quest’anno siano un fatto atletico. Successivamente, sarebbe poi carino anche analizzare l’aspetto mentale, nel calcio così come in qualsiasi altro sport, fondamentale: questa squadra, comunque la si analizzi, ha paura. Una paura e un’insicurezza che si porta dietro da tempo e che è diventata sempre più evidente man mano che i leader storici del gruppo hanno lasciato la Juve. È un bel tema anche quello: la BBBC, Marchisio, Pirlo, ovvero l’ossatura storica dell’inizio ciclo di Conte, erano leader già prima di Conte? Lo sono diventati con Conte? Leader si nasce o si può diventarlo? Belle domande, sulle quali ci confronteremo nei prossimi giorni.