Inizierei da una premessa, lunga ma doverosa: Antonio Conte è stato un tifoso juventino prima, un giocatore della Juventus poi, il capitano di mille battaglie durante e, infine, è stato l’allenatore tri-scudettato che ha risollevato, assieme ad Andrea Agnelli che l’ha voluto, la Juventus dei due settimi posti consecutivi. Sia chiaro: nessuno, né suo ammiratore né denigratore, potrai mai togliergli nulla di quanto fatto, vinto e rappresentato per i colori bianconeri. E’ storia. E mi riferisco anche e soprattutto a chi, fino a ieri tifosissimo, oggi è deluso dalle sue scelte professionali e non sa cosa pensare: capisco lo stato d’animo, ma un conto è essere delusi e un conto è comportarsi come i 16enni che, mollati dalla morosa, dal giorno dopo la chiamano zoccola e le dicono pure che è brutta e culona. La stessa che, fino alla notte prima, si sognava una vita assieme. Un po’ di coerenza e dignità, su. Fa male, è un sogno interrotto, è un vessillo che qualcuno da oggi (o dal 15 luglio) non si sentirà più di sventolare per un po’ o per sempre, ma bisogna farsene una ragione e non fare l’errore, travolti dalle emozioni, di cancellare quanto di meraviglioso vissuto assieme, perché non sarebbe giusto.
Conte, d’altra parte, non lo scopriamo certo oggi. E’ sempre stato così: da prendere “a pacchetto” con tutto ciò che di buono (tantissimo) contiene ma anche con i difetti, difficilmente limabili perché parte del suo carattere e del suo vivere il calcio fatto di limiti da superare, asticelle da alzare e di una maniera di vivere il lavoro quasi “crudele” verso se stesso e la sua famiglia, logorante ma in grado solo così di saziarlo. Era, e lo sapevamo, una bomba potenzialmente pronta ad esplodere, ma al tempo stesso un’arma di distruzione di massa di ogni avversario possibile e immaginabile, almeno in Italia (per i miracoli bussare al piano di sopra), nonché l’antiparassitario più efficace possibile contro zecche e pulci di ogni genere.
Tra i suoi difetti, però, non possiamo annoverare l’aver usato la sua Juventinità per fare carriera, proprio no. Conte già dalla prima stagione in panchina mise da parte il tifo per la Juve per confezionarle un attacco di una violenza verbale degna del peggior antijuventino da bar (per gli smemorati: dichiarazioni post-retrocessione con l’Arezzo, con accuse dirette e pesantissime alla Juve). Non solo: è uno che annovera tra i suoi maestri (parlo della professione di allenatore) anche Zeman, cui ha tributato spesso riconoscimenti pubblici. E’ inoltre lo stesso Conte che già una volta rifiutò la panchina bianconera perché pretese determinate condizioni che non vennero accettate e, quando è stato allenatore della Juventus, ha avuto il coraggio e la coerenza di dichiarare che non avrebbe avuto problemi ad allenare una milanese, Inter inclusa, e che nel caso ne sarebbe diventato il primo tifoso (come è primo tifoso di tutte le squadre che allena).
Non ha mai detto: “Voglio restare a Torino a vita e dovranno venirmi a prendere con i carri armati per cacciarmi, qualunque cosa succeda”, nè ha mai usato i tifosi per “restare” a dispetto della Società (come fatto da qualcuno). Ogni estate, piuttosto, è stato un lungo tira e molla fatto di condizioni poste, di sofferenze, di lamenti, di “non voglio approfittare della mia Juventinità, ma nemmeno che ci si approfitti di me e del mio essere Juventino”.
Se ci si è separati, perciò, è perché fa parte del mestiere (e della vita) separarsi, perché questo è Conte, queste sono le sue condizioni e non sono evidentemente state accettate. O, per dirla dall’altro punto di vista, perché non si è sentito a suo agio “ristretto” nel “solo” ruolo di allenatore, del tipo che “faccio il massimo con quello che mi danno” e poi si vedrà. Un fatto sportivo, comunque, non di tifo. Conte è e resta Juventinissimo, ma – e fa bene – è tifoso prima di se stesso e pensa al meglio professionale per lui e, quando non è convinto di qualcosa, fa i bagagli e saluta (come già successo a Bari). E dico “fa bene” proprio perché io, al suo posto, avrei fatto lo stesso, mettendo me stesso e la mia famiglia davanti a tutto, Juve inclusa. (non ho mai preso un centesimo dal calcio e men che meno dalla Juventus ma, se mi arrivasse un’offerta lavorativa da un’altra Società, la valuterei a fondo fottendomene allegramente della mia juventinità) (chiunque vi dica il contrario vi sta prendendo in giro o lo dice convinto che tanto un’offerta non la riceverà mai, quindi vale dire tutto).
Fatta questa premessa, passiamo alle sensazioni e alle opinioni.
Personalmente, sono contento perché l’Italia avrà da oggi un grande allenatore e un progetto molto intrigante, direi unico nel panorama europeo. Sono contento anche per Antonio Conte, perché un allenatore bravo come lui non poteva restare senza panchina: sarebbe stato inconcepibile. Se ha accettato, è perché ci crede ed è contento quindi chi sono io per contestarglielo? (ah, parentesi: sono particolarmente contento per Alessio e Carrera, professionisti straordinari). Auguri e buon lavoro. Ho poco altro da dire sulla sua scelta lato “Juventinità”: era libero, non mi aspettavo restasse senza squadra per sempre ed essendo libero poteva scegliere la piazza e la situazione che meglio lo soddisfasse.
C’è il discorso Scommessopoli, sì. Epperò anche lì: non possiamo stravolgere tutto. Quello che è stato svegliato all’alba dai Carabinieri è lui. Quello che gli hanno perquisito casa e che ha dovuto assumere un avvocato è lui. Quello che è stato fatto a merda dalla stampa e dai nemici (in questo caso sì: tutti tranne i “suoi” Juventini) è lui. Quello che doveva spiegare alla figlia Vittoria il perché fosse quasi incarcerato nel gabbiotto è lui. Quello che non poteva andare in tribuna al Franchi per motivi di ordine pubblico è lui. E ora sarà l’allenatore anche dei fiorentini, anche per i fiorentini. In estrema sintesi, se sta bene a lui, sta bene anche a me. E’ lui che dovrebbe, nel caso, vivere la FIGC come “nemica”. Se non la vive così, vuol dire che per lui non è nemica. L’ho sempre detto e scritto: io le battaglie sono disposto a farle ASSIEME, ma non “al posto” di qualcuno. Chiunque esso sia. Ad ogni modo, quali che siano le convinzioni di Conte, continuerò a credere quello che ho sempre creduto, senza lasciarmi influenzare da una firma.
Semmai, il discorso che mi lascia perplesso è altro. Per me è una follia tecnica, la sua: trovo il suo un azzardo incredibile, specie visto quanto l’Italia (antijuventina) abbia già dimostrato di odiarlo e specie visto il livello tecnico degli Azzurri di oggi, bassissimo. Comunque, Conte alla Nazionale altro non fa che aggiungere una sfida alla sfida originaria: la prima, ben nota a tutti noi, è quella che vedrà la Juventus fronteggiare il proprio recente passato, di fatto “costretta” a ripetere le vittorie raggiunte col suo ex allenatore per non interrompere il percorso di crescita che era iniziato con lui 3 anni fa; la seconda, è una sfida altrettanto difficile che spetta proprio a Conte: provare anche agli antijuventini, oltre che agli juventini, di poter essere il “loro” allenatore e di poter portare la Nazionale a vincere qualcosa. La prima sarà difficile e francamente si può vivere pure senza riconoscimenti dai nemici (che resteranno tali a prescindere, chiedere a Lippi), ma la seconda sarà fondamentale anche per lui: vincere. La vittoria era la (dolce/stressante) “condanna” della Juve di Conte e sarà la “condanna” di entrambi anche ora che i rapporti professionali si sono divisi. Succede così ai più bravi: una volta che diventi “vincente”, ogni risultato che non sia la vittoria ti rende automaticamente “perdente”. Sbagliato, ma italiano. E siamo in Italia.
Conte, inoltre, dovrà dimostrare di poter gestire a 360° ogni situazione di calcio e comunicativa, come chiesto invano di poter fare a Torino, e dovrà riuscire a non rendere vana la separazione con i bianconeri, continuando a sua volta a vincere e a crescere professionalmente (le ambizioni sue personali sono ben note) per poter sedere un giorno sulla panchina di un club europeo con aspirazioni di vittoria internazionali. Non ero convintissimo del “Conte-faccio-tutto-io”, ma ora che lo farà potremo valutarlo anche su questo aspetto, oltre che sul campo. Sono curioso.
Non dovesse riuscire, ad ogni modo, si finirebbe inevitabilmente per puntare più sull’arroganza sfacciata che su altre sue qualità che indubbiamente ha (torniamo al pacchetto di prima). Di sicuro, però, c’è da dire che ha coraggio, da vendere, altro che “ha paura di perdere”. Che poi era, a ben guardare, un “questa squadra non può dare di più A MENO CHE NON FATE FARE TUTTO A ME”, appunto. Dal menù del ristorante al calciomercato e la gestione dei giovani. Un controllo totale, che ha chiesto e ottenuto dalla FIGC. Se di coraggio o suicidio si tratti, lo vedremo presto. Ma questo è Conte, per chi ancora non l’avesse capito. E va preso così.
Tanto altro si potrebbe scrivere sui motivi dell’addio (mai fatto), sulle mie sensazioni (mai fatto) e sulle mie incazzature (mai approfondite), ma trovo che, al 15 di agosto e con le strade ormai nettamente separate, sarebbe un esercizio inutile. L’ho vissuta così: come una cosa che ero cosciente sarebbe potuta accadere e che è accaduta. Gestita male, probabilmente. Anzi, togliamo il probabilmente e mettiamoci un “sicuramente”. Ma ormai è successo e indietro non si torna. E, comunque, non mi aspettavo niente e non mi è stato tolto, di conseguenza, niente.
Evitare di dare sfogo alle mie emozioni, per una volta, non è un calcolo da democristiano navigato, ma una forma di autodifesa, ragionata, sofferta, tranquillizzata. E’ cambiato lo scenario, è cambiato il gioco, è cambiato il piatto sul tavolo. Prima ne prendiamo atto, prima riusciremo a vivere meglio sia la Juve che la Nazionale. A poco servirebbe riportare le parole personalmente sentite dalla dirigenza bianconera, così come a poco servirebbe riportare quelle di Conte (che tutto mi pare tranne che stressato o pauroso di non raggiungere un obiettivo, essendosi imbarcato in un’avventura ancora più folle). Tanto, ho sentito dire da Conte che “tornerò, un giorno”. Perché “non può finire così”. E lo sa anche la Juventus. Mi basta questo. Se succederà, sarò contento. Nel frattempo, non è così e c’è da vivere il presente.
Buona stagione a tutti.