Avrete forse letto di sfuggita, nei giornali o su internet, della protesta in atto da parte degli sportivi afroamericani che si inginocchiano durante l’inno nazionale (che negli Stati Uniti viene suonato prima di ogni evento sportivo) o che, addirittura, lo boicottano restando negli spogliatoi. Avrete magari anche sentito dei Golden State Warriors, la franchigia campione NBA, che – invitata alla Casa Bianca come avviene tradizionalmente per tutti i campioni degli sport statunitensi più popolari – si è rifiutata di accettare l’invito (con Trump che, colpito nell’orgoglio, lo ha immediatamente ritirato per “ingratitudine”).
Siccome sono certo che la situazione non sia del tutto chiara, specie in Italia, e siccome credo ci siano un sacco di pregiudizi e disinformazione sull’argomento, credo sia il caso di chiarire alcuni concetti e di discuterne apertamente, perché si tratta di un argomento scomodo e in quanto tale rifiutato a priori da molti. Vi riporto, a tal proposito, le parole di uno straordinario discorso di Gregg Popovich, allenatore dei San Antonio Spurs: un bianco che si rivolge ai bianchi, così. Questo è il motivo per cui, qualunque sia la forma di protesta (tra l’altro civile), sia il caso di parlare del merito, più che della forma.
“Ovviamente l’argomento di cui nessuno vuole parlare è il razzismo, questo lo capiamo tutti. A meno che non se ne parli costantemente, (la situazione) non migliorerà. La gente si stufa. Dice: ‘Oh, di nuovo? La stanno di nuovo buttando sul razzismo? Perché dobbiamo parlarne ancora?’. Beh, perché è scomodo! C’è bisogno che ci sia un elemento scomodo nella discussione affinché qualcosa cambi, che sia il movimento LGBT o il suffragio delle donne, il razzismo, non importa. La gente deve essere scomodata, soprattutto i bianchi, perché siamo comodi. Non abbiamo ancora idea di cosa significhi essere nati bianchi. Ed è difficile accettare che, sì, è come se fossimo sulla linea dei 50 metri in una pista di 100 metri. Abbiamo questo tipo di vantaggio perché siamo nati bianchi. [..] Abbiamo vantaggi che sono sistematicamente, culturalmente e psicologicamente evidenti. E sono stati costruiti e cementati per centinaia di anni. Ma molte persone non riescono a vederli, è troppo difficile. Non può essere qualcosa che è quotidianamente nel proprio piatto. La gente vuole mantenere le proprie posizioni, il proprio status quo, non vuole rinunciarvi. E finché non ci rinuncerà, la situazione non si aggiusterà”.
Parliamone, dunque. Vi propongo una ricostruzione sul quando, come e perchè sia nata la protesta.
Tutto è iniziato nell’agosto del 2016 grazie ad un giocatore di football americano, Colin Kaepernick, allora quarterback dei San Francisco 49ers, il quale prima di una partita di preseason rimase seduto durante l’inno americano come forma di protesta (in seguito decise di inginocchiarsi per mostrare comunque rispetto verso i caduti che hanno combattuto e combattono per rendere l’America un paese libero).
Dopo la partita, spiegò le sue ragioni:
“E’ per lanciare un messaggio e far capire alla gente cosa stia realmente succedendo in questo paese. Ci sono un sacco di ingiustizie e di gente che non paga per queste ingiustizie ed è qualcosa che deve cambiare. Questo paese si batte per la libertà e la giustizia per tutti, e non sta avvenendo per tutti in questo momento. [..] Ci sono situazioni che vanno avanti da anni e anni, e non sono mai state affrontate. [..] Continuerò a restare seduto e a stare dalla parte della gente oppressa. Per me questo è qualcosa che deve cambiare e quando ci saranno dei cambiamenti e sentirò che quella bandiera rappresenterà quello che dovrebbe rappresentare in questo paese per tutti, mi alzerò. Ci sono un sacco di cose che devono cambiare, a iniziare dalla brutalità della polizia. [..] Non me ne starò in piedi mostrando orgoglio per la bandiera di una Nazione che opprime i neri e la gente di colore. Per me, questa cosa è più importante del football e sarebbe egoista guardare dall’altra parte. Ci sono morti nelle strade e gente (i poliziotti) che la fa franca”.
Il riferimento è ad una ripetuta serie di “casi” di poliziotti che, nel corso del proprio lavoro, avevano ammazzato afroamericani, spesso ripresi da una telecamera, e spesso senza che le vittime avessero nemmeno un’arma (o comunque senza che l’avessero impugnata).
Intendiamoci: ci sono casi scandalosi, inaccettabili, disgustosi.
Così come è anche vero che il tasso di criminalità tra gli afroamericani sia elevatissimo e fare il poliziotto in America non sia una cosa semplice avendo spesso a che fare con membri di gang, tossici, o anche solamente gente che, oggettivamente, mette paura per il solo aspetto. Ma l’idea stessa che si possa sparare qualcuno, sbagliando, e non pagare mai non è accettabile, pur con tutte le difficoltà da riconoscere a chi compie un mestiere così difficile.
Torniamo a Kaepernick, per il momento. Donò un milione di dollari a diverse associazioni di volontariato (più altri soldi donati in diversi momenti) e gli stessi 49ers pareggiarono l’offerta del giocatore donando un ulteriore milione di dollari a due associazioni che si occupano di problemi legati al razzismo e alle discriminazioni sociali.
Durante la prima giornata della NFL, altri 11 giocatori si unirono alla sua protesta restando seduti durante l’inno, incluso un giocatore di Denver, Brandon Marshall, che protestò prima dell’inno della partita di punta trasmessa in chiaro e in diretta nazionale dalle televisioni. Alcuni giocatori decisero di restare in piedi, ma alzarono il pugno al cielo in segno di protesta. Diverse squadre, come segno di unità, decisero di stringersi le braccia durante l’inno, mostrandosi compatti e uniti.
La protesta fece parlare molto, ma si trasformò presto in un attacco personale soprattutto contro l’ideatore, Kaepernick, fatto oggetto di minacce di morte e insulti, ma anche di solidarietà e supporto da parte di molti afroamericani.
E’ importante sottolineare come il tutto iniziò quando Donald Trump non era ancora il presidente degli Stati Uniti, e anzi non era nemmeno lontanamente nei pensieri di Kaepernick. C’era ancora Barak Obama, che reagì così alla protesta che nel frattempo prendeva piede e coinvolgeva anche altri giocatori.
“Ci saranno un sacco di persone che faranno cose per le quali non siamo d’accordo, ma finché le fanno rispettando le leggi, possiamo criticarli, ma sarà un loro diritto farlo. Vorrei che il sig. Kaepernick e altri che si inginocchiano ascoltassero il dolore che causano a chi, per esempio, aveva un marito o un figlio ucciso in combattimento. Ma vorrei anche che la gente pensasse al dolore che (Kaepernick) rappresenta per le persone che hanno perso un proprio caro per un motivo che credono sia ingiusto”.
“Il signor Kapernick esercita un proprio diritto garantito dalla Costituzione. Non metto in dubbio la sua sincerità. Credo gli importi di alcuni problemi reali, legittimi, che vanno discussi. Se non altro, ha generato discussioni su argomenti che vanno trattati”.
Trump e la politica non c’entrano inizialmente a maggior ragione se si pensa che quella di Kaepernick è stata solo l’ultima e più clamorosa protesta da parte degli sportivi afroamericani contro le violenze ingiustificate dei poliziotti nei confronti dei neri. Nel dicembre del 2014, infatti, alcuni dei giocatori più importanti della NBA decisero di indossare una maglietta con la scritta “I can’t breathe!” (non riesco a respirare).
Erano le ultime parole pronunciate ripetutamente dal 46enne Eric Garner, afroamericano padre di 6, che immortalato da un video amatoriale veniva strozzato in diretta dalla presa al collo di un poliziotto che non lo mollava nonostante gli evidenti lamenti (Garner verrà portato all’Ospedale dove morirà un’ora dopo).
E anche in questo caso, anche davanti all’evidenza, anche davanti ai video, il poliziotto in questione, Daniel Pantaleo, non venne incriminato per l’accusa di omicidio.
Durante gli ESPYS Awards del luglio 2016, Carmelo Anthony, Chris Paul, Dwayne Wade e LeBron James tennero un discorso incentrato proprio sulla “police brutality”.
ANTHONY: Buona sera. Questa sera è una celebrazione dello sport, si celebrano i nostri traguardi e le nostre vittorie. Ma in questo momento di celebrazione abbiamo chiesto di iniziare lo spettacolo di oggi in questo modo: noi quattro che parliamo ai nostri colleghi con il paese che guarda. Perché non possiamo ignorare le realtà delle cose in America. Gli eventi della settimana scorsa hanno messo in luce l’ingiustizia, la sfiducia e la rabbia che assillano così tanti di noi. Il sistema è rotto. I problemi non sono nuovi. La violenza non è nuova. E le divisioni razziali non sono certamente nuove. Ma l’urgenza di creare il cambiamento è ai massimi livelli di sempre.
PAUL: Davanti a voi, stanotte, accettiamo il nostro ruolo nell’unione delle comunità, per essere il cambiamento che dobbiamo vedere. Siamo davanti a voi come padri, figli, mariti, fratelli, zii e, nel mio caso, come uomo afroamericano e nipote di un agente di polizia, che è una delle centinaia di migliaia di grandi agenti che servono questo paese. Ma Trayvon Martin, Michael Brown, Tamir Rice, Eric Garner, Laquan McDonald, Alton Sterling, Filando Castile: anche questa è la nostra realtà. Generazioni fa, leggende come Jesse Owens, Jackie Robinson, Muhammad Ali, John Carlos e Tommie Smith, Kareem Abdul-Jabbar, Jim Brown, Billie Jean King, Arthur Ashe e tanti altri hanno costituito un modello per ciò che gli atleti dovrebbero rappresentare. Quindi scegliamo di seguire le loro orme.
WADE: La discriminazione razziale deve finire. La mentalità di sparare per uccidere deve finire. Il non riconoscere l’importanze dei morti neri e marroni (latini) deve finire. Ma anche le ritorsioni devono finire. L’infinita violenza delle armi in luoghi come Chicago, Dallas, per non parlare di Orlando, deve finire. Quel che è troppo è troppo. Ora, come atleti, è nostro dovere sfidarci gli uni con gli altri per fare ancora di più di quanto già facciamo nelle nostre comunità. E i dialoghi non possono fermarsi solo perché le nostre agende si fanno più fitte. Non sarà sempre conveniente. Non lo sarà. Non sarà sempre comodo, ma è necessario.
JAMES: tutti ci sentiamo impotenti e frustrati dalla violenza. Ma questo non è accettabile. È tempo di guardarci allo specchio e chiederci cosa stiamo facendo per creare un cambiamento. Non si tratta di essere un modello. Non si tratta della nostra responsabilità nella tradizione dell’attivismo. So che stasera stiamo onorando Muhammad Ali. Il migliore di tutti i tempi. Ma per rendere giustizia alla sua eredità, usiamo questo momento come una chiamata all’azione per tutti gli atleti professionisti per educarci. È per questi problemi. Parliamo. Usiamo la nostra influenza. E rinunciamo alla violenza. E, cosa più importante, torniamo alle nostre comunità, investiamo il nostro tempo, le nostre risorse, aiutiamole a ricostruirle, a rafforzarle, a cambiarle. Tutti dobbiamo fare meglio. Grazie.
Ancora una volta: non c’entrava nulla Trump, non ancora in carica, e non c’entrava direttamente la politica. Insisto su questo argomento perché è lì che la disinformazione cerca di spostare il tiro, su Trump. “Perchè si sono svegliati proprio ora?”. Non è vero, non si sono svegliati ora. “Perchè ce l’hanno con Trump che è stato democraticamente eletto?”. No, non ce l’hanno con Trump, ma con le discriminazioni razziali e la brutalità della polizia. Per le quali, semmai, Trump non ha preso posizione. “Se ne accorgono solo ora che c’è Trump?”. No.
C’è invece una domanda interessante: perchè la protesta originaria di Kaepernick ebbe meno risalto di quella attuale? Perchè i giocatori NFL (e non solo) ora, all’improvviso compatti e agguerriti, hanno ripreso quella protesta e l’hanno elevata ancora di più? Perchè ci sono squadre NFL e di basket (le Los Angeles Sparks, finaliste del campionato WNBA) che addirittura rimangono negli spogliatoi durante l’inno?
Guardate questa immagine. E’ il momento dell’inno prima di Seattle Seahawks contro Tennessee Titans. Le squadre sono negli spogliatoi, la maggioranza del pubblico bianco è in piedi, l’arbitro afroamericano ha le mani dietro la schiena invece che al petto e la cantante (bianca), che potete intravedere nel maxi-schermo, alla fine della canzone si inginocchierà.
Come si è arrivati a questo, dopo i casi comunque sporadici del 2016 e dell’inizio del 2017? Ecco, ora entra in campo Trump. Ce li ha spinti lui.
Per prima cosa, come detto, ritirando l’invito ai Golden State Warriors che in forma di protesta avevano deciso di boicottare l’evento e provocando le reazioni della NBA che ha espresso perplessità circa le critiche alla libertà di espressione che andrebbe sempre e comunque riconosciuta (ricordate le parole di Barak Obama).
Ma, soprattutto, venerdì scorso (22 settembre), durante un congresso ad Huntsville, nell’esaltare lo spirito patriottico del candidato Repubblicano per l’Alabama in vista delle imminenti primarie, ha attaccato i giocatori NFL che protestavano durante l’inno.
“Non sareste contenti se uno dei proprietari della NFL, quando qualcuno non rispetta la nostra bandiera, dicesse loro: ‘Cacciate dal campo quel figlio di puttana, fuori. Sei licenziato, sei licenziato!’ ?”
La situazione, potete immaginarlo, da questo momento è definitivamente degenerata. C’era un solo modo per rendere così popolare una protesta che comunque già c’era, non era diffusissima (4-5 giocatori su 50 a squadra), per la quale Kaepernick aveva pagato con la carriera non venendo più scelto da alcuna squadra NFL e, soprattutto, era stata tenuta a bada fino a quel momento concedendo di fatto la libertà di espressione e lasciando che a giudicare fossero i cittadini americani stessi: insultare e chiedere il licenziamento di chi protestava esercitando un proprio diritto costituzionalmente riconosciuto.
Ma Trump non si è “limitato” (!) a questo: ha infatti detto anche di essere amico di diversi proprietari NFL (traduco io per voi: otto proprietari hanno contribuito con 7 milioni di dollari alla sua campagna elettorale) e che, se trovassero il coraggio di cacciare i protestanti, diventerebbero le persone più famose negli Stati Uniti. Altro errore da non commettere: dire a gente bilionaria cosa fare.
Il risultato è che la NFL ha preso posizione con un comunicato ufficiale durissimo contro Trump, Trump ha twittato (!) contro il commissario della NFL dicendogli (quasi ordinandogli) di dire ai giocatori di alzarsi durante l’inno (!). L’associazione dei giocatori ha risposto dicendo che nessuno può essere obbligato a farlo e che ci sono dei limiti che non vanno superati. Trump è tornato a twittare dicendo che la NFL è un’associazione piena di regole e che dovrebbe aggiungere quella di alzarsi durante l’inno (!), e ha completamente cannato l’interpretazione del gesto dell’abbracciarsi durante l’inno da parte di alcune squadre, che non era un gesto contro i protestanti, ma al contrario una forma stessa di protesta in cui ci si mostrava uniti, tutti, bianchi e neri.
Trump ha continuato a twittare senza sosta (e ad ignorare il fatto che sia contro la legge chiedere il licenziamento di qualcuno), diverse star della NBA hanno preso posizione a favore dei Golden State Warriors e dei giocatori NFL (cito tra gli altri Michael Jordan, LeBron James, Kobe Bryant, Magic Johnson), ma il risultato più clamoroso è stato probabilmente vedere persino Jerry Jones, storico proprietario dei Dallas Cowboys (la squadra più popolare d’America, the America’s Team) e finanziatore di Trump, inginocchiarsi (prima dell’inno) insieme a tutta la squadra prendendo parte in prima persona alla protesta e mostrando al tempo stesso unità (braccia legate) durante l’inno.
Disse una volta John F. Kennedy: “Quelli che rendono impossibili le rivoluzioni pacifiche, renderanno le rivoluzioni violente inevitabili”. Nel caso di Donald Trump, l’aver condannato così duramente, tra insulti e minacce, chi effettuava una protesta comunque pacifica, ha ottenuto l’effetto di renderla ancora più forte. Al tempo stesso, però, questa protesta ha creato alla NFL un enorme danno con un calo importantissimo dei ratings televisivi, con diversi personaggi pubblici che hanno preso posizione contro la protesta e con tifosi che hanno boicottato la propria squadra del cuore perchè disgustati dalla mancanza di rispetto verso la bandiera americana.
Ne è uscita fuori un’America spaccata, divisa, dove le discriminazioni razziali e anche solo i problemi legati ad un processo ancora in corso di integrazione, sono emersi in tutta la loro potenza e platealità. La strada verso una pacifica convivenza e verso il rispetto reciproco è ancora lunga.
Caro Antonio, come sempre un intervento puntuale e utile. Se posso contribuire alla discussione, credo sia opportuno sottolineare che il processo di integrazione si è interrotto da alcuni decenni, complice la politica di criminalizzazione della miseria di cui gli afroamericani (e non solo) sono vittime. Per un punto di vista informato sul tema ti consiglio (se posso permettermi) la lettura di Loic Wacquant, Punire i poveri. Il nuovo governo dell’insicurezza sociale (Derive e Approdi 2006). Credo che offra delle coordinate interessanti per inquadrare il problema e collocare nella giusta prospettiva quanto sta accadendo oggi senza necessariamente chiamare in causa, come giustamente sottolinei, la contingenza politica (quel folle di Trump ha esacerbato, irresponsabilmente, un conflitto le cui radici hanno però una lunga storia).
Grazie, Gianluca.
Grazie, come sempre hai spiegato benissimo la situazione, io ho una domanda per te, e non so se avevi intenzione di volerla affrontare nella seconda parte, ossia, il “razzismo” della polizia è vero razzismo, o più che altro altissimo livello di stress? Capiamoci condanno il poliziotto che ammazza un “nero o un latino” che è disarmato, ma quel poliziotto magari stressato da turni di inferno e da una paga non eccezionale (cosi ho letto altre volte qando si parlava di polizia americana) riesce a ragionare lucidamente, quando magari il giorno prima le gang di neri e latini gli hanno ammazzato il partner o magari lo hanno ferito gravemente? Cioè spostare il problema sulla polizia e non capire il perchè e cercare di risolvere il problema che numerosi neri e latini si danno alle gang non è come chiudere la stalla dopo che i buoi sono scappati?
Era appunto l’argomento della seconda parte. Ma vedi, il punto non è tanto perchè. Non è facile da capire, e ogni caso andrebbe valutato senza generalizzare. Il punto è che la costante è che non venga mai punito nessuno, nemmeno quando oggettivamente siamo dinanzi all’evidenza dei fatti. E’ questo che è oggettivamente intollerabile. Si può sbagliare, ma si deve pagare.
Bellissimo articolo Antonio, come sempre grazie
Io sono rimasto veramente allibito da questo articolo e di come una persona intelligente come te possa scrivere queste cose. Ti prego di leggere il mio commento senza pregiudizi e di pensarci sopra.
1. A prescindere dalle opinioni PERSONALI che una persona può legittimamente avere, se sei un giocatore pagato milioni di dollari non le esprimi mentre sei sul posto di lavoro! Le esprimi come PRIVATO CITTADINO all’infuori del lavoro. Se non lo fai causi DANNI enormi alla tua azienda e all’intero movimento sportivo, quindi anche a chi non la pensa come te,. cosa che tu stesso hai scritto infatti e che per me è inaccettabile. Anch’io ho le mie opinioni ma non mi metto certo ad esprimerle quando rappresento la mia azienda.
2. Anche nella sostanza trovo il tuo articolo allucinante. Primo perchè definisci “distriminazioni razziali” quando un bianco causa danni ad un nero. Allora tutti i crimini che i neri fanno ai danni dei bianchi OGNI SINGOLO GIORNO cosa sono? Come mai nessuno ne parla in termini di “razzismo” se vale questo standard? E su questo esistono DATI PUBBLICI che certificano che il loro tasso di criminalità è enormemente superiore a quello dei bianchi. Dire questo (che ripeto è un DATO non una mia opinione) è razzismo o è STATISTICA?
3. I casi che per te sono chiari ed evidenti per la giustizia americana non lo sono affatto! Spesso addirittura i presunti “mostri” non sono stati nemmeno incriminati….tanto per dire quanto viva sulla Luna chi li ritiene tali. Il motivo è semplicissimo: in USA grazie a Dio hanno un concetto molto diverso dal nostro di “legittima difesa”, soprattutto da parte di un pubblico ufficiale. Tu puoi non essere d’accordo ma non è una discriminazione ai danni dei neri, è una cosa che si applica a tutti: bianchi, neri, gialli ecc.. Il fatto che ci siano più neri morti a causa di scontri con la polizia (che è composta anche da neri… mica solo da bianchi!) è dovuto molto semplicemente al fatto che i neri in proporzione delinquono molto più dei bianchi… è semplice STATISTICA.. altro che razzismo e sciocchezze simili. Se poi si pretende che la polizia garantisca l’ordine pubblico senza ammazzare nessuno in un paese di oltre 300 milioni di persone in cui chiunque può portare un’arma si vive sulla Luna. è un COSTO secondo me assolutamente accettabile.
4. Ultimissima cosa: anche se una persona non porta un’arma (cosa di cui un poliziotto che ti “ingaggia” non può essere sicuro se non dopo averti perquisito) non significa che tu non possa nuocergli in altri modi o anche scappare. Dove sta scritto che un poliziotto per es. debba prendersi dei pugni in faccia quando ha una pistola? Questa è una mentalità tutta italiana e dei liberal americani che vivono a Manhattan e in generale fuori dalla realtà dell’americano medio. La ragione per cui l’america è cosi divisa è questa, non Trump: metà nazione la pensa in modo praticamente opposto all’altra su quasi tutto.
“se sei un giocatore pagato milioni di dollari non le esprimi mentre sei sul posto di lavoro”
E’ pagato per fare punti, non per non esprimere le sue opinioni, figurati negli USA dove la libertà di espressione è sacra.
“Se non lo fai causi DANNI enormi alla tua azienda e all’intero movimento sportivo”
Che sta appoggiando la protesta, non tanto per la protesta in sé, ma per il fatto che chi la vuole vietare lede la libertà di espressione, e ritorniamo al punto precedente. Poi se qualcuno vuole licenziare qualcun’altro, è qualcosa che al Potus deve importare zero.
“Allora tutti i crimini che i neri fanno ai danni dei bianchi OGNI SINGOLO GIORNO cosa sono? ”
Considerando che i neri, di media, hanno pene più elevate dei bianchi che commettono gli stessi reati, direi che è ancora discriminazione razziale. C’è un esempio lampante e oggettivo nell’articolo di un poliziotto che ha ucciso un nero senza subire nessuna conseguenza. Di cosa parliamo?
“Spesso addirittura i presunti “mostri” non sono stati nemmeno incriminati”
Quindi lo sai che c’è un problema di discriminazione negli USA!
“Dove sta scritto che un poliziotto per es. debba prendersi dei pugni in faccia quando ha una pistola?”
Nella legislazione USA, per questo esistono i manganelli e i taser.
X Emanuele,
1. Il punto fondamentale non è se uno è libero o meno di esprimere le proprie idee mentre lavora. Non è questione di libertà ma di OPPORTUNITA’! E’ palese che questo comportamento sta producendo gravi DANNI ECONOMICI (oltre che REPUTAZIONALI) all’intera NFL, penalizzando anche chi la pensa in modo diametralmente opposto…
Anch’io sarei libero di andare al lavoro in ciabatte o di parlare delle mie convinzioni politiche ed economiche ma se lo faccio e produco un danno per l’azienda (perchè magari mie idee infastidiscono i clienti per es) allora anche l’azienda deve essere libera di potermi licenziare! Non è solo la mia di libertà ad essere meritevole di considerazione e tutela.. c’è anche la LIBERTA’ degli altri da considerare! Nemmeno lavorare male è vietato dalla legge (anche perchè sarebbe impossibile) ma se lo fai vieni LICENZIATO legittimamente… Per me il loro comportamento rientra perfettamente in questa casistica, quindi Trump fa benissimo ad invocarne il licenziamento, ed è tanto più grave perchè essendo atleti strapagati con milioni di dollari all’anno dovrebbero mantenere standards di comportamento ancora più stringenti, invece se ne fregano bellamente.
Hai delle idee personali e vuoi esprimerle? Perfetto! però fallo senza danneggiare l’azienda che ti paga! Non mi pare una pretesa irragionevole non credi? Loro invece oltre a danneggiare l’azienda che li paga, la SFRUTTANO senza il suo consenso per massimizzare il ritorno mediatico del loro gesto.
Se poi passa questo concetto e domani uno si mette a fare il saluto romano durante l’inno cosa facciamo? Anche lui allora non deve poter essere toccato perchè come dici tu è legittimo che possa esprimere le sue opinioni. Tu in reltà non la vedi cosi: vorresti che chi la pensa come te possa esprimerlo liberamente quando gli pare, e chi la pensa diversamente non lo possa fare… cosi non ci siamo!
2. Che nel breve periodo i vertici della NFL appoggino/tollerino la cosa non la rende cmq giusta ma soprattutto opportuna.. NFL sta cercando di barcamenarsi tra metà paese che considera questa una pagliacciata (per non dire altro) e l’altra metà che la appoggia, ma che avendo la quasi totalità dei media dalla propria parte non sembra metà ma il 95%… E’ l’ennesimo punto sul quale se si ascoltano i media sembra che gli americani la pensino in massa in un modo e chi non la pensa cosi siano dei poveri ritardati mentali da rieducare, poi vanno a votare e si scopre che non è affatto cosi.
3. Da ultimo mi infastidisce molto (cosi come a quel 50% che non la pensa come loro e che credo di interpretare molto bene…) il MODO scelto per esprimere questo messaggio. A parte farlo mentre lavorano e non come privati cittadini nel loro tempo libero, forzando cosi contro la loro volontà chi vuole semplicemente gustarsi una partita a sorbirsi questa cosa; quello che è veramente insopportabile è per l’ennesima volta il tentativo di una metà di IMPORRE il proprio standard etico/morale/valoriale all’altra metà. Queste manifestazioni non sono un modo per COMUNICARE con gli altri… anche perchè se uno per comunicare disturba una delle poche cose che bene o male unisce tutti come l’inno è evidente che infastidirà gli altri piuttosto che portarli a riflettere sul messaggio… Se tu cerchi di convicermi delle tue idee a me sta bene. Se però mi imponi di ascoltarle contro la mia volontà e stabilisci (tramite i media che sono al 90% liberal; google/facebook che censurano chiunque osi pensarla diversamente per non parlare della scuola pubblica… altra cosa imposta dall’alto sulle famiglie americane…) che se uno non si adegua ai tuoi standards allora è uno sporco razzista da punire e rieducare non mi sta più bene. Sono quei giocatori e il circo mediatico liberal dietro di loro a ledere la libertà degli americani e Trump sta semplicemente agendo per mantenerla.
Articolo interessante che meriterebbe un approfondimento ancor maggiore. Credo che il protagonista di questa vicenda, più che il razzismo in sè, sia l’ipocrisia di fondo del sistema di valori americano che per decenni ci è stato propagandato come il migliore degli stili di vita possibili. Un sistema che troppo spesso confonde i valori con il valore. Il caso che ha riguardato Donald Sterling è emblematico da questo punto di vista: nella terra del libero mercato un imprenditore è stato costretto a vendere la propria attività. Ma è stato costretto perchè essere razzisti è sbagliato ideologicamente o perchè il basket è lo sport afroamericano per eccellenza e la lega avrebbe subito un danno di immagine (soldi, si parla sempre di soldi) incalcolabile se non fosse intervenuta? I diritti civili, la libertà di espressione, di stampa, di associazione, di pensiero hanno dei costi sociali enormi e gli li Stati Uniti affrontano il problema come hanno sempre fatto, cercando di minimizzarli per aumentare i profitti. Con questo sistema il razzismo scomparirà quando non sarà più economicamente vantaggioso. E cioè credo mai. Popovich parla di conservazione dello status quo e, come sempre, ha perfettamente ragione. Fino a quando il costo dei diritti civili non sarà equamente ripartito tra tutti, sarà pagato una tantum da persone come Kaepernick.
Caro AC, quindi tutto è iniziato con Obama presidente ma i danni maggiori li ha commessi Trump. Con i suoi Tweet.
Perchè, io tifoso di una squadra NFL devo sentirmi offeso dal comportamento di questi milionari che boicottano il mio inno nazionale? Hai fatto vedere i giocatori, l’arbitro e la cantante e il pubblico? Cos’ha fatto il pubblico?
Facciano le loro proteste durante le interviste, dicano qualcosa. Sentiamo cos’hanno da dire se hanno qualcosa da dire.
I Warriors hanno rifiutato l’invito della Casa Bianca? Per quale motivo? Perchè non l’hanno rifiutato due anni prima con Obama presidente? La “situazione” era la stessa!
Credo sia solo iposcrisia e basta.
Bambocci viziati e straricchi che si mettono una maglietta, si inginocchiano all’inno o restano negli spogliatoi. CHe ci restino negli spogliatoi, per sempre però.
Stiamo parlando di sport e lo sport deve rimanere sport.
L’inno non è sport.
Finalmente un articolo scritto con cognizione di causa.
Seguo la NFL da quasi 30 anni e sull’argomento ho letto un sacco di inesattezze (per non dire bugie belle e buone).
Farei una piccola aggiunta.
La protesta di Kaepernick inizialmente è stata vista come l’ultima chance per far di sè da parte di un qb considerato in fase calante.
A fine della corsa stagione è rimasto senza contratto:.
Per alcuni, Jim Harbaugh in testa, proprio perchè la sua protesta risultava scomoda e la NFL (gran macchina da soldi) non la vedeva certo di buon occhio.
Per altri semplicemente perchè ormai, diventato vegano, aveva perso l’esplosività dei primi anni.
Per molti, solo perchè non più performante ad alti livelli.
In conclusione, senza l’uscita di Trump la protesta di stava autospegnendo (con gran soddisfazione da parte della NFL).
Esatto. Si stava spegnendo e si era spento direi definitivamente anche Kaepernick, fuori dai giochi. Ora è tornato in copertina lui e la protesta.
l’inno non è sport, ma è eseguito durante un evento sportivo. Collaterale. Non utilizzabile per forme di protesta.
In realtà sì, è utilizzabile infatti lo stanno usando.