Inizio con un tecnicismo: sarà l’unico, promesso.
“Versandosi – almeno con riferimento alla seconda parte del comma 2 dell’art. 1 della L. 401/89 – in tema di delitto di attentato, a forma libera, che non ammette il tentativo e che viene costruito come reato di pericolo, la condotta si intende realizzata con il compimento di atti che devono risultare idonei ed univocamente diretti all’alterazione della gara; l’inidoneità di questi atti e la non univocità osterebbero irrimediabilmente ad attribuire rilevanza penale alle condotte. Da qui la conseguenza della irrilevanza di una effettiva alterazione del risultato della gara perché si tratta di un evento estraneo alla fattispecie (nel senso che esso non è necessario per la integrazione del reato), la quale si considera consumata per il fatto di aver posto in essere la condotta di alterazione” (Cassazione Giraudo).
E’ passata insomma la linea che si temeva passasse e contro la quale non c’era difesa: per configurare una frode sportiva – dice la Cassazione – basta aver caricato una pistola e aver tolto la sicura puntandola verso qualcuno. E’ del tutto inutile giustificarsi dicendo “Ma non ho sparato!”, nè “L’ho mancato!”. Nè, tanto meno, con un ancora più illusorio “Ma era armato pure lui!” (le sentenze riguardano capi d’accusa determinati, non riscrivono la storia e non giudicano chi non è a processo). Il reato è la pistola, non l’omicidio e tu ce l’avevi. Per questo sono stati condannati Giraudo (assolto per prescrizione in Cassazione) e sicuramente anche Moggi, la cui motivazione non si discosterà di molto. Con queste interpretazioni, si sapeva, non ci sarebbe stato scampo.
Tutto inutile, quindi? Analisi su analisi, controprove, intercettazioni fatte “riemergere” causa P.G. e/o P.M. sbadati, fiumi di inchiostro, i risultati sbagliati, le medie punti con gli arbitri “svizzeri”, l’analisi degli errori arbitrali, l’assenza di riscontri pratici, i campionati alterati filosoficamente… abbiamo perso tempo? Sì, giuridicamente non è servito se non agli imputati – neanche pochi – che sono risultati assolti e di cui nessuno parla, dimenticandosi da dove si era partiti tra P2 e mafia. Ma no, non può comunque essere considerata una perdita di tempo l’aver cercato di ricostruire – grazie all’opera di volontari, associazioni, pochi giornalisti e tanti tifosi (la sbirraglia, i barboni, i rancorosi, i prezzolati, i servi di Moggi…) (io la barba ce l’ho, lunga ma senza eccessi) – un quadro più ampio utile per formarsi un’idea il più completa possibile di quanto accaduto, sentenze a parte (che ci sono e valgono, inutile negarlo).
Le griglie le hai discusse (non sei stato l’unico, ma parliamo di noi), le sim svizzere le avevi (di nuovo: non importa perchè), a cena ci andavi (non sei stato l’unico, ma di nuovo: parliamo di noi) e avevi una parte di stampa amica (mi taccio…) e di cariche istituzionali (idem) a tuo supporto. Basta e avanza, dice la Cassazione. Gli altri non sono a processo quindi non è compito dei giudici.
“Come ricordato dalla Corte di Appello il sistema di predisposizione delle griglie arbitrali, almeno con riferimento alla stagione sportiva 2004-2005, era piuttosto diffuso ed in proposito sono state evidenziate dal giudice distrettuale alcune intercettazioni intervenute tra il designatore arbitrale BERGAMO e il dirigente dell’INTER, FACCHETTI Giacinto (telefonata del 26 novembre 2004) e sempre tra íl detto designatore ed il dirigente del MILAN MEANI (telefonata del 28 aprile 2005) i cui sviluppi non sono stati approfonditi dalle indagini di P.G.” (Cassazione/Giraudo)
Ci rassegnamo? No. Dopo mille battaglie resta infatti ancora l’amaro in bocca al pensiero dello smoking bianco di Materazzi, di quel vestito da verginelle che i nerazzurri si sono cuciti addosso e che nessuno ha mai contestato loro. Non si può accettare l’idea di uno Scudetto che, anche solo avessero ricevuto un punto di penalizzazione (realistico, mettiamola così), l’Inter non avrebbe più potuto sfoggiare.
Hanno ragione gli interisti: sono formalmente puliti. Con sculacciate e figure di m. qui e lì, ok, ma giuridicamente non contano. Hanno ragione: la relazione Palazzi non è una sentenza. Hanno ragione: non c’è modo di raggirare la prescrizione. Hanno ragione: l’hanno spuntata loro. Mai processati, quindi mai condannati. Ma se quella P.G. avesse “approfondito le indagini”? Se Palazzi non si fosse addormentato fino alla prescrizione? Se avessero dato retta al povero Coppola? Se oltre ai dirigenti bianconeri avessero intercettato anche quelli dell’Inter, del Milan, della Roma, eccetera? No, tutto questo non c’entra direttamente con le sentenze, che come detto non tengono conto dei comportamenti altrui ma solo di quelli di Moggi (Moggiopoli, scrisse giustamente Beha) e sodali. Non si possono ribaltare le sentenze citando comportamenti altrui non puniti (sportivamente) come il procuratore sportivo avrebbe voluto.
Però a conti fatti da un lato abbiamo una dirigenza e un sistema distrutti senza una sola intercettazione che provasse in maniera “cinematografica” una partita truccata finita diversamente da come sarebbe dovuta finire, senza giri di soldi, senza ammissioni, senza pentiti, senza valigette, senza nulla. E dall’altro i “ti piace vincere facile” dei mai processati. Stona, un bel po’.
Mediaticamente, Calciopoli è un bluff (nonostante abbia avuto la più grande campagna di marketing della storia a supporto), come un thriller che non vedi l’ora di vedere dopo anni di attesa ma la cui scena più emozionante si rivela Moggi che si confronta con Bergamo sulla possibile composizione della griglia per un sorteggio. Roba da 20 minuti di buuu, da rimborso del biglietto e imprecazioni a corredo. Ma ci sono i tecnicismi, ci sono una serie di pistole caricate che avrebbero potuto uccidere e tanto basta e avanza giuridicamente per far uscire (tanta) carne al fuoco e portarla a casa. Vince l’accusa. Il resto sono opinioni.
Opinioni che – da sole – non bastano a togliere lo Scudetto all’Inter. Uno Scudetto ingiustamente assegnato alla luce di quanto emerge (opinioni, si diceva. Certo, ci fossero stati i processi…) da quel quadro generale ricostruito di cui parlavamo prima. Quadro che però serve – così – solamente per la narrativa, che (finora?) non restituisce quel senso di giustizia che ci saremmo aspettati, che continua ingiustamente a premiare una società che, seppur con gradi diversi di responsabilità (magari), vergine non era (sicuro). Che, anche avesse provato a creare un contropotere (dicono), comunque non meriterebbe il premio di uno Scudetto etico. Che subiva (dicono le sentenze), ma non con le mani conserte.
Resta quindi, alla fine, al di là della colpevolezza di Moggi e Giraudo, un senso di profonda ingiustizia generale, come sportivi. Resta la rabbia verso una tifoseria e una società che non ha subito nemmeno uno schiaffetto (che sarebbe tecnicamente bastato). Resta un dolore dentro che la sentenza di Cassazione non placa e che, anzi, volendo, fa aumentare. Un disgusto che non provi (o provi meno) ad esempio nei confronti del Milan, il vero antagonista di Moggi&Giraudo e che aveva messo in piedi un contropotere ugualmente efficace, ma che comunque è stato punito. Formalmente, intendiamoci (vinsero la Champions, come ricorderete, tra la furia dell’UEFA), ma abbastanza per non permettere loro di poter indossare – così come pure noi – alcuno smoking bianco. Gli interisti, invece, lo indossano e rivendicano ancora, così come rivendicano quello Scudetto non vinto sul campo e non meritato fuori. E’ quello che nessuno juventino accetterà mai, prima ancora delle sentenze di condanna (che ci sono, valgono e producono effetti, con buona pace dei colpevolisti). E’ per questo che, una sentenza di parte (nel senso che giudica solo una parte), non potrà mai bastare per mettere tutti d’accordo.