Quella del Leicester è sicuramente la storia dell’anno. Merita, perciò, una riflessione a 360°, magari corredata da qualche bell’aneddoto e senza neanche un paragrafo speso su Claudio Ranieri, di cui ormai abbiamo già letto – veramente – di tutto.
LA PORTATA DELL’UPSET – Da quando è nata la Premier League, ossia dal 1992, per 22 volte su 24 il titolo è stato vinto da uno dei quattro club con il fatturato nettamente maggiore delle altre, ossia Arsenal, Chelsea, Manchester City e Manchester United. Una volta, 21 anni fa, è stato vinto dal Blackburn e quest’anno, appunto, dal Leicester. Si può perciò dire che ci troviamo di fronte ad una delle due imprese più affascinanti della storia della Premier. Quella dei ragazzi di Ranieri, però, è ancora più incredibile di quella del Blackburn. Tre anni prima, infatti, i Rovers investirono una cifra allora record, 3.6 mln di sterline, per acquistare Alan Shearer battendo la concorrenza del Manchester United e con lui, da neopromossi, arrivarono un anno quarti e l’anno dopo secondi. Poi comprarono Le Saux, Tim Flowers e David Batty: erano una squadra finanziata da Jack Walker, un magnate del posto, e che con Kenny Dalglish allenatore aveva come obiettivo quello di vincere il titolo. L’anno del trionfo, per capire la loro potenza di fuoco, acquistarono anche Chris Sutton spendendo anche per lui una cifra record, 5 mln di sterline. Fu insomma più una sorpresa vedere il Manchester United secondo che, a quel punto, il Blackburn primo. Erano infatti ben attrezzati e pieni di soldi e in più avevano quell’Alan Shearer che era una vera macchina da gol, un po’ come l’Higuain di quest’anno. Quello del Leicester è invece un vero e proprio miracolo sportivo, imprevisto e probabilmente irripetibile.
MONEYBALL – Ma come è nato questo titolo? Dall’insieme di tanti fattori favorevoli, ma certamente non da grandissimi investimenti economici sul calciomercato, a differenza del citato titolo del Blackburn.
L’acquisto maggiore effettuato quest’anno dal Leicester, infatti, è stato quello di Okazaki, per poco più di 11 milioni di euro, il 41mo più costoso dell’anno in Inghilterra. In totale, sono stati spesi 50/55 milioni di euro: ci sono singoli giocatori in Premier che sono costati di più. Il Leicester ha inoltre il 17° monte salariale della Premier, di una sessantina di milioni di euro. E allora? Mettiamola così: solo il tempo ci dirà se i meriti maggiori di questa impresa saranno da ascrivere a Ranieri, al fallimento di Pellegrini e Wenger, all’insubordinazione dello spogliatoio del Chelsea, alla pura e semplice fortuna o ad altro. Alla voce “altro”, però, una spiegazione affascinante e non abbastanza approfondita dai giornali italiani ci sarebbe: l’utilizzo di principi di Moneyball per la costruzione della rosa. Avete visto il film candidato a sei premi Oscar con Brad Pitt? Letto il libro di Michael Lewis dal quale trasse ispirazione? Un rapido riassunto in caso di risposte negative: si tratta della storia, reale, della gestione degli Oakland Athletics (squadra di baseball professionistico americano) sotto la guida di Billy Beane in qualità di General Manager. A quel tempo, anni 2000, la franchigia californiana poteva permettersi un payroll (monte ingaggi) di appena 1/6 rispetto a squadre come i New York Yankees. Per ovviare a tale gap, Beane pensò ad un approccio statistico e scientifico per scovare giocatori adatti al progetto, al minor prezzo possibile. Per farlo, assunse come suo assistente Paul DePodesta, laureato ad Harvard, un secchione senza alcuna esperienza pregressa sul campo, e assieme misero a punto un piano. Si basava sostanzialmente sull’efficienza dei mercati: se tutti operano allo stesso modo, chi ha il budget maggiore inevitabilmente potrà investire di più ottenendo più successi. Bisognava cambiare strategia. Per farlo, si dimostrò come il mercato fosse in realtà inefficiente: c’erano – statistiche alla mano – delle qualità in alcuni giocatori che valevano meno di quanto fossero pagate (in salario) a quel tempo. Lo sfruttamento delle inefficienze del mercato e, dunque, delle qualità sottovalutate e sottopagate dallo stesso, è stata la chiave per il successo dei Californiani che sono così riusciti a pagare per la propria rosa molto meno rispetto alle altre squadre e ad ottenere al tempo stesso un ritorno sportivo nettamente superiore. Allo stesso modo, anche il Leicester si è ispirato a principi di Moneyball affidandosi a tecnici, matematici e statistici per scovare calciatori dalle particolari caratteristiche e che fossero, cosa più importante, alla portata economica del club.
IL 442 – Prima regola: fare qualcosa di diverso dagli altri club che, più ricchi di te, a parità di condizioni ti sovrasterebbero. Il Leicester ha individuato tale diversità nel modulo di gioco. Il 442, in Inghilterra, è ormai ritenuto “vecchio”, “sorpassato”, fuori moda. Il nuovo modulo di riferimento, quello più utilizzato, è il 4231, più “Europeo”, più “creativo”. Diciamocelo apertamente: tatticamente parlando, la Premier è un campionato veramente mediocre. Proprio per questo, l’aver pensato ad una formazione diversa e l’aver operato sul mercato alla ricerca dei pezzi mancanti del puzzle, ha prodotto come risultato una squadra solida, tosta e sensata che è arrivata incredibilmente fino alla fine sfruttando gli orrori altrui (vedi alla voce: Arsenal, Chelsea, Manchester United, Manchester City, persino Liverpool). Questa scelta di un modulo così inglese ma paradossalmente così poco da Premier, ha permesso loro di comprare giocatori che erano perfetti per il loro sistema di gioco, ma non necessariamente adatti a quello degli altri club della Lega. Facciamo degli esempi: Riyad Mahrez è esploso giocando esterno nel 442. La libertà assoluta che gli ha concesso Ranieri sulla fascia, gli ha permesso di arrivare in doppia cifra sia nei gol che negli assist. Il fatto di giocare esterno, inoltre, ha sgravato il giocatore da quegli importanti compiti di copertura che sarebbero risultati insostenibili per una squadra col 4231. Mahrez è perfetto per il Leicester, ma probabilemente non avrebbe trovato tanto spazio altrove, oppure sarebbe stato troppo limitato da dettami tattici più rigorosi. Altro esempio? Jamie Vardy è un attaccante che, seppur giunto tardi nel calcio che conta, ha le caratteristiche del perfetto bomber da Premier e segnerebbe in qualsiasi club inglese; le seconde punte, però, hanno probabilmente senso e valore solamente nel sistema di Ranieri: Shinji Okazaki e Leonardo Ulloa non potrebbero infatti ricoprire il ruolo di prima punta (necessario nel 4231, dove l’attaccante fa reparto da solo) e risulterebbero inutili per la maggior parte dei club inglesi, ma al fianco di Vardy hanno fatto il loro lavoro, e bene. Discorso analogo per la difesa: la filosofia predominante e di moda in Inghilterra è quella di controllare il possesso palla e di iniziare la manovra d’attacco fin dai difensori. Due giocatori ruvidi e lenti come Robert Huth e Wes Morgan, non avrebbero molto senso in altre formazioni inglesi non essendo adatti a quel tipo di gioco. Ranieri, però, ha scelto di fregarsene del possesso palla e di accontentarsi di uno stile di gioco più conservatore e speculativo il cui scopo fosse quello di segnare un gol in più degli avversari, non di convincerli. Tenendo il baricentro basso, non ha costretto i due centrali a coprire ampie porzioni di campo non avendone le caratteristiche (vero Wenger? vero Mertesacker?) e loro ne hanno tratto grosso giovamento.
KANTE – Ad avviso di chi vi scrive, N’Golo Kante è stato in assoluto il principale artefice, tra i giocatori, della stagione brillante del Leicester. Anche lui è stato scovato usando principi puri di Moneyball. Dopo la dipartita di Esteban Cambiasso, i Foxes avevano bisogno di un mediano che permettesse alle due ali (Marc Albrighton e Riyad Mahrez) di spingersi costantemente in avanti, dovendo coprire perciò ampie porzioni di campo per evitare ripartenze avversarie. Serviva un centrocampista forte, dalla mentalità difensiva e in grado di adattarsi immediatamente allo stile della Premier. Hanno così ricercato in tutta Europa, tramite big data e analytics, un calciatore che avesse al tempo stesso statistiche importanti alla voce distanza coperta durante ogni partita, tackle riusciti e che unisse a tutto questo una sufficiente capacità di non buttare via la palla. E’ così che, dal database di ricerca, è uscito fuori il nome di N’Golo, allora al Caen: eccelleva in Europa per tackle riusciti ed era nella Top-5 per la categoria degli intercetti riusciti. Il capo osservatore Steve Walsh, dopo averlo visto all’opera, lo firmò per meno di 6 milioni di sterline, nonostante a vederlo fisicamente (è alto meno di un metro e settanta) tutto pareva tranne che un giocatore “da Premier”. Moneyball. Appunto. E il gap economico (vedremo dopo) con le big si è azzerato all’improvviso.
THE TWO KINGS – Avevo promesso di non trasformare l’articolo in un tributo “classico” a Ranieri, avendone già letti tanti. C’è però un aneddoto carino che, prima di affrontare il tema statistico/economico, mi piacerebbe raccontare (momento Buffa ON): la storia dei “due Re” di Leicester che in questi giorni è diventata un tormentone nella città delle Midlands. Il primo in questione è Riccardo III, della famiglia degli York, l’ultimo Re inglese a morire in battaglia, nel 1485, contro Enrico Tudor. Di lui sappiamo solo cose brutte, cortesia di William Shakespeare che a lui dedicò un’importante opera teatrale. Sappiamo però soprattutto che la sua sconfitta pose fine alla sanguinosa Guerra delle Due Rose e, con essa, all’età medievale in Inghilterra. Le truppe di Enrico si scontrarono con quelle di Riccardo nella battaglia di Bosworth Field, a pochi chilometri da Leicester. Riccardo la concluse trascinato senza barella da un cavallo nella vicina città di Leicester e col suo cadavere esposto “al pubblico” a mo’ di trofeo per due giorni per poi venire sepolto senza onori funebri: non benissimo. Nel settembre del 2012, dopo più di cinque secoli, il suo scheletro è stato ritrovato per caso nel parcheggio del Consiglio Municipale di Leicester. Gli scavi avrebbero in realtà dovuto far emergere le fondamenta di un’antica Chiesa francescana e invece portarono alla luce i resti di un uomo con il cranio fracassato, con segni evidenti di sofferenza spinale e con quelli di un pugnale conficcato in una gamba: non esattamente il profilo tipico di un frate francescano. E’ per questo che si è subito pensato a lui. Nel febbraio del 2013, dopo gli esami del DNA sostenuti dall’Università di Leicester, è arrivato il responso: si trattava proprio di Riccardo III. E’ allora iniziata una raccolta fondi che è arrivata a mettere da parte 3,1 milioni di sterline (pensate un po’) e che ha permesso, il 26 marzo 2015, di rimediare allo sgarbo di Enrico VII e di concedergli l’onore negato con tanto di rinterramento nella vicina Cattedrale di Leicester. Cerimonia per noi surreale, con 35.000 cittadini a riempire le strade, con la sua bara trainata su un carro da un cavallo, una lunga processione di 4 giorni, guardie armate con costumi medievali, gente che attendeva il passaggio con in mano delle rose… E altro, tipo gli abitanti di York che gridavano allo scippo (di cadavere) e altri – gente meno “romantica” – che gridavano agli sprechi. Fatto sta che, per la città di Leicester (e per tutta l’Inghilterra), fu un evento di portata storica. Cosa c’entra tutto questo con la squadra di calcio? Direttamente nulla, eppure per la città un legame c’è, fortissimo. In quel periodo, infatti, il Leicester, neopromosso in Premier, era ultimo con 19 punti in 28 partite, ormai proiettato verso un’inevitabile retrocessione. Dopo la sepoltura di Riccardo III, però, avvenne sportivamente un vero e proprio miracolo (il primo): la squadra vinse 7 delle ultime 9 partite e riuscì a salvarsi. Molti, a Leicester, così, pensarono all’influenza positiva del ritrovato Riccardo III che giaceva a pochi passi dallo stadio. Quest’anno, poi, è accaduto il secondo miracolo sportivo consecutivo e il mito dell’influenza del re sui successi sportivi della squadra ha preso ancora più piede, tanto che si parla appunto dei “Due Re” di Leicester. Il secondo, ovviamente, è Claudio Ranieri.
IL FATTURATO – Il Leicester è un club che, pur avendo un magnate alle spalle (chi non ne ha uno in Premier?) – nello specifico il thailandese Vichai Srivaddhanaprabha, CEO e fondatore della King Power, gruppo
leader a livello internazionale nella gestione di negozi duty free aeroportuali – dipende (finora) per il 70% dalle entrate di broadcasting e per il resto, di fatto, da sponsorizzazioni mascherate effettuate della holding proprietaria del club che prima ha acquistato lo stadio, poi lo ha sponsorizzato e infine ha sponsorizzato le magliette della squadra e in generale tutto quanto fosse inseribile in bilancio, tanto che la commissione della Lega inglese che si occupa di far rispettare il Financial Fair Play ha storto il naso in più di un’occasione. A livello di marketing e branding, fino a quest’anno, era una realtà assolutamente da costruire da zero anche se, negli ultimi due anni, ha potuto contare su una media di 32.000 spettatori e una percentuale di riempimento di poco inferiore al 100%, tanto che è stato già annunciato un progetto di ampliamento di ulteriori 10.000 spettatori.
THE BIG PICTURE – Ma qual è il fatturato del Leicester e come inquadrarlo correttamente? Dipende dal contesto. Limitiamoci prima a quello inglese: i Foxes hanno chiuso l’ultimo esercizio (da neopromossi) con un fatturato di 137 milioni di euro, il 12° della Premier. Il rapporto con il primatista Manchester United è di 4:1, simile a quello che in Italia c’è tra la Juventus e Fiorentina. Il monte ingaggi del Leicester è invece di 60 milioni di euro circa, con un rapporto di 4,5:1 con il primatista Chelsea, simile a quello che in Italia c’è tra la Juventus e una fascia di squadre che vanno da Sampdoria, Sassuolo, Bologna, Genoa, Atalanta, Udinese, Palermo a Torino. Il paragone con Carpi e Frosinone, letto su diversi giornali, non ha assolutamente senso. Allargando l’orizzonte, scopriamo infatti che – con il fatturato attuale – il Leicester sarebbe quinto in classifica nella nostra Serie A battagliando col Napoli, quindi non versa esattamente in una situazione paragonabile alle neopromosse nostrane. Ciò è, come sappiamo, frutto in gran parte dei ricavi da diritti tv della Premier che hanno prodotto come risultato il piazzamento di 17 squadre inglesi nella classifica dei top-30 fatturati d’Europa (le tre mancanti sono le tre neopromosse). Insomma, se in ambito domestico il Leicester non è certamente una delle “big” economiche (ma neanche l’ultima), va ricordato in termini assoluti che – ad oggi – tutte le squadre della Premier, anche la 17ma per fatturato, avrebbero gli strumenti per fare una ottima Europa League e per competere con le medio-grandi della Serie A italiana e dei principali campionati Europei. A maggior ragione lo sarebbe questo Leicester, col 24mo fatturato assoluto in Europa.
COSA SUCCEDERA’ ORA? – Il primo effetto dell’impresa sportiva di quest’anno sarà l’aumento del fatturato: è stato stimato da società di analisi dello sport marketing che potrebbe incrementare di 115 milioni di euro passando così dagli attuali 137 a 250 milioni circa (traduciamo sempre per il discorso di prima: significherebbe secondo fatturato in Italia dopo la Juve proiettata verso i 350 mln e top- 10 Europea ad un passo), con un aumento record di 190 milioni dal 2014-15 al 2016-17. Ciò accadrà innanzitutto perché, come già analizzato, grazie al sistema di distribuzione meritocratico dei proventi televisivi domestici della Premier, essendo arrivato primo quest’anno, avrà una ventina di milioni di euro in più rispetto all’anno precedente; una quarantina di milioni saranno assicurati dalla partecipazione (in prima fascia) alla prossima Champions League e il resto arriverà dal boom, già iniziato, del settore marketing che registra già oggi il tutto esaurito negli store ufficiali del club. La brand exposure è già mostruosa e la sua crescita contribuirà ancora di più a dare una visibilità globale al club con vantaggi sia nella vendita di magliette, ma anche sulle sponsorizzazioni. Insomma, il meglio potrebbe ancora non essere arrivato anche se Ranieri, giustamente, fa da pompiere e parla per la prossima stagione di obiettivo decimo posto in Premier. Un pizzico di realismo ma con la convinzione che, non ci avessero creduto in barba a tutti i pronostici, il miracolo appena vissuto non sarebbe potuto avverire.