Ha fatto molto discutere un tweet dell’account della Juventus (Women), poi rimosso, in cui una calciatrice indossava a mo’ di cappello un “cinesino”, ovvero un cono di plastica usato per degli esercizi durante l’allenamento, e con le dita allargava gli occhi a imitare i tratti somatici di un’asiatica.
Diversi giornalisti, soprattutto americani, hanno preso di mira il tweet accusandolo di razzismo. Ma era veramente razzista?
Secondo me, vista la sensibilizzazione sempre maggiore (e non può che essere un bene, sia chiaro) verso le discriminazioni di ogni tipo, servirebbe un po’ di chiarezza non tanto su cosa sia giusto o sbagliato fare (lì ci possiamo arrivare), ma su cosa sia davvero “razzismo” e cosa… “altro”.
Si rischia infatti di utilizzare il termine razzismo, che è infamante verso chi se ne rende protagonista, per qualsiasi situazione, anche laddove non ci sia nemmeno lontanamente l’intenzione di voler discriminare qualcuno. Siccome il razzista è giusto venga schifato, allontanato, punito, giudicato come una merda (e in questo periodo storico è aperta la caccia), allora a maggior ragione diventa importante capire bene verso chi indirizzare il disprezzo, per non rischiare di travolgere tutto e tutti.
Razzismo è ogni comportamento o espressione o pensiero volto a creare una materiale, tangibile situazione di discriminazione di una persona o un gruppo di persone rispetto alle altre. È un pregiudizio che tiene conto non della conoscenza specifica di una persona, ma di generiche caratteristiche estetiche (pelle bianca, nera, ecc), di sesso (maschio, femmina), di disabilità fisiche, di condizioni economiche, di preferenze (es sessuali, religiosi, ecc), o della provenienza (è italiano, è extracomunitario, è rom, ecc).
Muoviamoci con degli esempi.
“Non esistono neri italiani” è una chiarissima forma di discriminazione verso un gruppo di persone che l’autore di quella espressione vorrebbe “punire” per il solo colore della pelle. Razzismo, 100%, merda.
“Le donne non possono giocare a calcio”. Stessa cosa. Si può dire che il calcio femminile abbia caratteristiche diverse da quello maschile, che le donne siano meno brave a giocare a calcio rispetto agli uomini, ma “non devono/possono” praticare uno sport, è una discriminazione, razzista.
Se invece su Youtube un account satirico pubblicasse un video rappresentando gli italiani con il mandolino e la pizza o facendo gesti in continuazione con le mani, quello sarebbe razzismo? Evidentemente, no. Sarebbe altro. Uno sfottò. Volontario, diretto, voluto. Ma sfottò. Nulla farebbe pensare che l’autore di quel video pensasse che gli italiani meritassero meno diritti degli altri, o che debbano essere trattati diversamente.
Se invece qualcuno scrivesse “Italiani mafiosi”? Certo, quello sarebbe razzismo! Perché con quell’espressione, l’autore materialmente (anche se a parole) distinguerebbe le persone “brave” dai mafiosi, e farebbe rientrare “gli italiani”, tutti, nella categoria dei mafiosi per il solo fatto di essere nati in Italia. A prescindere.
“Ma in Italia c’è la Mafia, è vero!”, potrà dire qualcuno di voi. Ok. È vero. Ma allora si dirà “In Italia c’è la Mafia”. Che non implica nulla (non vuol dire ci sia solo la Mafia, o che non ci sia chi la combatte) e che non giudica gli italiani discriminandoli per la sola loro cittadinanza.
Come giudichiamo perciò, alla luce di queste considerazioni, il “cinesino” della Juventus?
Ci arrivo. Prima, però, servirebbe individuare cosa possa essere tutto ciò che non è razzismo, ma nemmeno corretto. Tutto ciò che non è volontariamente teso a discriminare, ma in qualche modo lo fa, o potenzialmente può farlo, e meriterebbe attenzione. Probabilmente manca un termine specifico, e servirebbe. Di volta in volta, si può trattare di insulto, sfottò, gaffe, ignoranza, malcostume o un mix di queste cose.
Quella della Juve per me è una gaffe. Uno sfottò inconsapevole. Perché non c’era assolutamente l’intenzione di discriminare in alcun modo gli asiatici, e quindi la matrice “razzista” non vedo come possa essere presa in considerazione. Si tratta comunque di un tweet sbagliato, poiché anche se in maniera divertente e divertita, si amplifica un tratto somatico di alcune persone (e ogni anno ci sono milioni di interventi estetici per eliminare quella caratteristica che tanti vivono come un “difetto”). Per capirci, se qualcuno mettesse la mano ad un metro, facendo il segno dell’altezza di una persona, rappresentandone così la “bassezza”, magari con tanto di sorriso, lo percepiremmo tutti come uno sfottò. Qualcuno riderebbe pure, ma sarebbe un chiaro sfottò. O se qualcuno chiamasse “ciccione” un’altra persona, o ne evidenziasse un difetto fisico qualsiasi. Lì lo percepiremmo subito, perché potremmo sentirci chiamati in causa. Gli occhi a mandorla invece “non ci appartengono” e non pensiamo possano essere percepiti come un’offesa o uno sfottò o una caratterizzazione inutile da parte di persone asiatiche o con origini asiatiche.
E invece lo è. Per questo è una gaffe. Uno sfottò involontario, ma che può creare disagio verso alcune persone e generale in loro arrabbiatura.
Ma allora perché si è montato un caso “così” grosso? Per una gaffe? No. Perché nel 2021 viviamo in un’era globale, dove un tweet può potenzialmente essere letto in tutto il mondo. Anche in America (e infatti l’hanno letto anche lì), dove da mesi è in atto ad esempio una campagna “Stop asian hate” volta a sensibilizzare gli americani sul fatto che tanti comportamenti discriminatori o di sfottò nei confronti degli asiatici debbano finire. Per contestualizzare ancora di più, nei TG spesso sono finite immagini di asiatici insultati o picchiati nei supermercati o in mezzo alle strade perché accusati di aver portato il Covid negli USA. Nonostante molti di loro fossero al 100% americani e non fossero mai stati in Asia (ammesso che esserci stati o nati possa essere una colpa, e ovviamente non lo è mai). Ecco, in quel contesto così esplosivo e con tutti i problemi quotidiani di chi vuole sensibilizzare contro le discriminazioni contro gli asiatici, un tweet come quello della Juventus, per quanto goliardico e senza intenzioni razziste, possiamo renderci conto di come possa essere invece percepito come “pericoloso” e per questo condannato in maniera ferma, decisa.
Ricordiamoci che non siamo al bar sotto casa, che le cose dette restano lì e vanno inquadrate solamente in quel contesto: ormai internet ha eliminato le barriere almeno a livello di comunicazione che ci separavano dal resto del mondo e siamo tutti una comunità dove ogni messaggio deve essere necessariamente inquadrato a livello globale.
Mi viene in mente un altro episodio, dove l’uruguaiano Edison Cavani, rispondendo ad un amico su un social, scrisse “Gracias negrito”. Termine che in Sud America non ha assolutamente connotati razzisti, storicamente e linguisticamente. Come spiegò l’Accademia della Lingua spagnola dell’Uruguay, il loro equivalente della nostra Accademia della Crusca, “Qui la parola negro e il suo diminutivo negrito, così come gordo (grasso) e il suo diminutivo gordito, o come flaco (magro) sono comunemente usati come scherzosi o in segno d’affetto”. Cavani razzista? Assolutamente no, manca proprio il requisito della discriminazione. Ma gaffe, enorme, sì. Perché un conto è il bambino venezuelano che gioca nel suo paesino di provincia con l’amico, un altro conto è un giocatore globale, che ha milioni di follower che parlano inglese e che va a vivere e a lavorare in un Paese come l’Inghilterra, dove quella parola ha un significato estremamente tossico e viene usata costantemente in maniera dispregiativa. Non puoi non aspettarti che venga percepita male. E infatti Cavani venne squalificato per 3 giornate più multa dalla Football Association e condannato un po’ da tutta la stampa britannica. Gaffe involontaria, siamo d’accordo. Incomprensione culturale/semantica. Ma non razzismo, anche se la si è usata a pretesto per far capire ai razzisti che in Inghilterra non c’è spazio nemmeno per l’uso scherzoso di alcuni termini.
Per concludere: indubbiamente la Juventus ha sbagliato, e bene ha fatto a cancellare il tweet e chiedere scusa. Non accuserei nessuno di razzismo. Ma tirerei le orecchie a chi non ha pensato, prima di pubblicare quel messaggio, alle possibili conseguenze di quel gesto.