Da domenica sera, in coro, non sentiamo dire altro (intendo al netto delle polemiche arbitrali, ovviamente) che il “gap” si sia “ridotto”. E’ una frase che puntualmente ci viene propinata ogni volta che un’avversaria giornalisticamente quotata giochi contro di noi una buona partita o, addirittura, vinca. In alcuni casi, come domenica, il ritornello prende vita e si diffonde anche in caso di sconfitta. E si tratta, quasi sempre, del classico e sempreverde errore in cui cade ogni volta gran parte della stampa italiana e dei tifosi.
L’equivoco è sempre il solito: giocare bene una partita contro una squadra forte (quindi la Juventus), non vuol dire altro che aver giocato bene quella partita.
Stop.
Il campionato è veritiero proprio perché strutturato come una maratona di 38 partite e, per ridurre davvero il “gap” con la Juve, serve continuità, mentalità, maturità, voglia di vincere, capacità di farlo. Ma serve anche e soprattutto vincere le gare meno “appassionanti” ed “automotivanti” di quelle contro i bianconeri che tanto piacciono a giornalisti e tifosi.
L’Inter, quest’anno, i punti di distacco da noi li ha accumulati perdendo contro Chievo, Cagliari e Sampdoria e pareggiando in casa con Palermo e Bologna. Avesse vinto queste partite, decisamente tutte alla portata, avrebbe un punto più della Juventus (al netto del recupero), altro che gap ridotto.
Non si può far finta di dimenticarselo dando un’importanza superiore a quella reale (ovvero 3 punti) ad una sola gara, peraltro persa.
La stessa Roma, ha accumulato il suo distacco buttando 4 punti contro Empoli e Cagliari, un’impresa al contrario. Senza quei due inopinati pareggi, sarebbe prima a pari merito.
E che dire del Napoli? Pareggi che gridano vendetta contro il Pescara, il Sassuolo e il Palermo. Aggiungete questi 6 punti alla squadra di Sarri e sarebbero a pari merito anche loro.
Vero, l’Inter ha cambiato allenatore e, da quanto c’è Pioli, ha cambiato registro e messo in fila una “striscia” di 7 vittorie. Ma è la classica striscia nerazzurra che ogni anno fa gridare “l’anno prossimo sarà diverso”. Decontestualizzata, non è molto diversa da quella dell’anno scorso di Mancini che partì con 5 vittorie di fila, o da quella di Stramaccioni, sempre di 7. Il difficile, in genere, viene subito dopo la prima scoppola post-striscia: in questo caso, proprio contro la Juve, dopo una partita in cui nel secondo tempo si sono perse più energie per protestare che per tirare in porta. Il difficile sarà fare 6 punti contro Empoli e Bologna per arrivare a Inter-Roma e cercare di rosicchiare qualche punto. E sarà poi subito dopo ritrovare la concentrazione per battere il Cagliari. Sono queste le partite che, in genere, risultano decisive. Ed è vincendo queste, semmai, che i nerazzurri potranno dimostrare di aver fatto un salto in avanti nella maturazione e nella capacità di concentrazione, cercando magari, nel frattempo, di non farsi squalificare mezza squadra.
Stessa cosa per Roma e Napoli: grandi vittorie per entrambe, per carità. Ma conta vincere anche sotto pressione e la pressione può essere anche solo il fatto di avere tutto da perdere nel dover vincere a tutti i costi sempre, per tenere il ritmo della Juve. Non è facile e proprio per questo, quel tipo di partite, sono quelle che di solito sbagliano.
Fare bene per un certo numero di partite, o solo in alcune, o finché le aspettative e la pressione non ti schiaccino, è altra cosa rispetto a vincere. Sono concetti diversi, l’ho scritto più volte. Chi vince è, in genere, proprio chi riesce a fare meglio in quello situazioni ed è lì il vero gap da colmare contro una squadra, la Juve, che da quel punto di vista è una macchina senza cuore e, spesso, senza emozioni.