Premessa: il suo è il caso che più di tutti ha ricevuto (inutili) attenzioni mediatiche, merito di un gesto di disperazione estrema cui si è reso protagonista quando ha deciso di incatenarsi dinanzi alla sede della Figc con tanto di sciopero della fame. Chiede giustizia, il calciatore Emanuele Pesoli, e la possibilità di potersi difendere in contraddittorio. E’ un uomo profondamente segnato da questa vicenda, arrabbiato, forse rovinato, ma sicuramente determinato a fare emergere la sua verita dei fatti. Solo per questo, meriterebbe almeno di essere ascoltato e raccontato ed è per questo che il mio invito è a diffondere la sua storia non rendendosi complice di questo omertoso silenzio rotto solo da interessi commerciali.
Pesoli, veniamo al dunque, è stato condannato in primo e secondo grado a 3 anni di squalifica per avere, sostiene l’accusa, posto in essere atti diretti ad alterare il corretto svolgimento della gara Siena-Varese del 21 maggio 2011. La vicenda si potrebbe riassumere così: da una parte ci sono le “verità” dei due “pentiti” Gervasoni e Carobbio, dall’altra quella di Pesoli, opposta. La drammaticità di questa vicenda è proprio perciò che, in totale assenza di riscontri, invece di procedere a proscioglimento si preferisce andare all’uno contro uno, misurando cioè la credibilità delle persone basandosi su veri e propri pregiudizi (Tizio ha una credibilità “intrinseca”, Caio non può che mentire altrimenti confesserebbe). La vita di Pesoli viene giudicata in base al fatto che si preferisca senza prove una versione piuttosto che l’altra, una persona piuttosto che un’altra, una storia piuttosto che un’altra. Ridotta così, la giustizia sportiva si sveste quindi completamente del garantismo che pure dovrebbe contraddistinguerla (oltre a “sportiva” c’è il termine “giustizia”, che qualcosa dovrebbe pur ancora significare..) per trasformarsi in qualcosa di diverso, dove sei colpevole perché “lo dice qualcuno”.
Passiamo alle carte.
Pesoli era nella sua Varese quando, un bel giorno di maggio, viene contattato telefonicamente da Gervasoni. Pesoli a Gervasoni lo conosceva solo come avversario, come collega, ma non ci aveva mai scambiato una parola all’esterno di un terreno di gioco. Entrambi però avevano un amico in comune, il calciatore Fissore. Gervasoni chiede allora a Fissore il numero di telefono di Pesoli (cfr: interrogatorio del 13.04.2012) e lo chiama. Gli chiede, senza giri di parole, se il Varese, squadra di Pesoli, fosse stato disposto a perdere la successiva partita col suo (di Gervasoni) Piacenza. Gervasoni avrebbe “gestito” la cosa sponda Piacenza e Pesoli, questo gli chiedeva Gervasoni, avrebbe dovuto fare altrettanto sponda Varese.
Fermiamoci. A credere a questa storia, indipendentemente da come siano davvero andate le cose (ovvero dal contenuto della telefonata, che Pesoli non nega esserci stata e per la quale è pacifico vi fu una proposta di illecito di Gervasoni), ci sarebbe – correggetemi se sbaglio – un evidentissimo illecito compiuto da Gervasoni e, come minimo, un’omessa denuncia per Pesoli.
Tutti d’accordo? Bene, perché nessuno dei due è mai stato deferito per questo.
Continuamo. Mettiamo a confronto le due versioni. Questo il virgolettato di Gervasoni: «Io contattai il calciatore Pesoli del Varese per verificare se il Varese fosse disposto a perdere col Piacenza». Sentite quale fu la risposta secondo Gervasoni: «Il Varese astrattamente era disposto a perdere..». Astrattamente. Alla sfacciata e precisa richiesta, Pesoli avrebbe astrattamente risposto che il Varese sarebbe stato disposto a perdere quella partita.
Questo secondo Gervasoni, perché invece Pesoli ha messo a verbale (cfr: interrogatorio del 27.12.2012) la seguente risposta: «Il Varese era intenzionato a mantenere l’imbattibilità in casa e avrebbe giocato “alla morte” come sempre».
Siamo già al primo bivio: a chi credere? Come si fa a schierarsi senza prove? Ma ci viene in soccorso il risultato di quella partita, che il Varese – con buona pace di Gervasoni – gioca alla morte e vince 1-0. L’astratta possibilità a perdere sarà evidentemente stata talmente astratta che, in concreto, il Varese vinse.
Direte voi: e allora? Di cosa stiamo parlando? Aspettate, perché il bello deve arrivare.
Pesoli infatti non è per questa partita che è stato condannato per illecito: la citata Varese-Piacenza non fu da lui alterata, per i giudici. No, la condanna è avvenuta per Siena-Varese del 21.05.2011, della settimana prima. Pesoli è stato cioè interrogato per Varese-Piacenza, ma.. condannato per Siena-Varese! Senza che gli sia mai stata fatta una singola domanda su quest’ultima partita e, paradosso dei paradossi, senza che in dibattimento Palazzi abbia mai fatto riferimento nel suo caso alla partita per cui si è beccato 3 anni.
Lo so, è paradossale. Lo so, è assurdo.
La storia ad ogni modo è questa: secondo Gervasoni, Pesoli avrebbe manifestato sì la disponibilità (quella astratta) di perdere col Piacenza (gara che invece il Varese come detto vinse 1-0), ma solo a patto che nella partita della settimana prima la sua squadra avesse strappato almeno un punto al Siena. Di Carobbio.
Benvenuti nel puzzle.
Proviamo a fare un po’ di distinguo. Fatto: ci sono dei contatti telefonici tra Gervasoni e Carobbio risalenti alla settimana precedente Siena-Varese. Teoria: Gervasoni dice che ci furono perché fu Pesoli stesso ad incaricarlo di “sondare” tramite Carobbio la disponibilità del Siena. Qualora il Siena ci fosse stato a mollare almeno un punto, sostiene Gervasoni, per Pesoli il Varese avrebbe accettato di perdere la giornata successiva contro il Piacenza. Anzi, in realtà non è neanche così. Il 12 marzo 2012 infatti la versione di Gervasoni è: “il Varese sarebbe stato anche disponibile a combinare una sconfitta”; il 13 aprile 2012 invece diventa: “La massima disponibilità del Varese era quella di pareggiare”. Insomma una delle due cose, pareggiare o perdere.
Pesoli conferma di aver ricevuto la chiamata, ma nega nella maniera più assoluta di aver dato alcuna disponibilità, pareggio o sconfitta che fosse. Anzi.
A questo punto si inserisce Carobbio. Venendo incontro a Gervasoni, dice di essere stato contattato in qualità di giocatore del Siena da Pesoli (ma come, vi direte voi: ma non aveva detto a Gervasoni di fare lui?). Ma non ricorda come. “Forse a mezzo Skype”. Forse. Pesoli nega di aver mai avuto un colloquio, di qualsiasi genere, con Carobbio. C’è da precisare, questo è pacifico perchè lo ammette lo stesso Carobbio, come i due non si conoscessero affatto.
Carobbio a questo punto avrebbe rifiutato (dice) l’accordo e sarebbe saltato tutto. Tutto tranne l’illecito a Pesoli, che si è beccato 3 anni per aver tentato di combinare una partita non combinata in cambio di un’altra partita non combinata.
Considerazioni: non essendo stata mai contestata la gara Siena-Varese a Pesoli, di fatto gli è stato negato qualsiasi tipo di contraddittorio con Carobbio e Gervasoni. Gli hanno fatto domande su Varese-Piacenza della settimana dopo, e stop. Pesoli, incastrato dalle dichiarazioni dei due “pentiti”, non può perciò fare altro che gridare la propria innocenza e smentire tutto. Inutilmente. E dico inutilmente perchè la credibilità degli altri due è quella di “pentiti” che rilasciano “dichiarazioni autoaccusatorie” e quindi solo per questo più credibili. Ma le ammissioni di colpa quali sarebbero, in questo caso? Carobbio dice che si rifiutò di combinare la partita come proposto (dice lui) da Pesoli («Io risposi a Gervasoni e allo stesso Pesoli, con il quale ho avuto contatti forse a mezzo Skype, che non c’erano le condizioni»). Gervasoni invece, sebbene chiamò Pesoli (pacifico e da lui raccontato) per combinare una partita, per quella stessa partita non è neanche accusato di illecito (sparato e anche questo pacifico, dalle ricostruzioni).. Perchè queste persone dovrebbero “intrinsecamente” dire la verità mentre Pesoli no? Perchè se Pesoli dice “non è vero” non deve essere creduto mentre se Carobbio dice “mi contattarono ma io mi rifiutai” sì?
E ancora: se la chiave è tutta nel contatto “forse a mezzo Skype” (e quindi non provabile) avvenuto tra Carobbio e Pesoli, perchè trattare Pesoli diversamente chessò da Simone Pepe? E lo dico da Juventino, perchè qui il tifo non c’entra. Pepe, per la gara Udinese-Bari del 09.05.2010, è accusato dal “pentito” Andrea Masiello il quale afferma di averlo contattato telefonicamente per sondare la sua disponibilità ad alterare il risultato della partita. Pepe ha negato tutto. La CND così si è espressa in questo caso, in cui: “la circostanza per cui di detta telefonata non vi sia stata alcuna prova oggettiva e l’esistenza della stessa sia affermata da Andrea Masiello, il quale peraltro con riferimento al suo contenuto, è tutt’altro che preciso”: ha detto che tale circostanza (la telefonata) è “non dimostra e affermata dal solo Andrea Masiello”. Per il centrocampista dell’Udinese (ora alla Juventus) è giunto quindi il proscioglimento “alla luce del principio espresso dalla Corte di Giustizia Federale nel C.U. n. 56 (2011-12), secondo il quale solamente in presenza di elementi certi e incontrovertibili, si può ritenere accertata la condotta illecita”.
Bene: anche con riferimento alla presunta telefonata “forse a mezzo Skype” e negata fortemente da Pesoli avvenuta – dice lui – con Carobbio, non vi è alcuna prova oggettiva (tabulati, ecc), Carobbio è tutt’altro che preciso (non ricorda nemmeno il mezzo utilizzato) e si tratta di una circostanza (la telefonata) non dimostrata e affermata dal solo Carobbio. Perchè uno prosciolto e l’altro condannato ad illecito? Tra l’altro con la premessa che abbiamo visto dell’incolpazione avvenuta per una partita diversa da quella per la quale è stato ascoltato in procura?
Pesoli chiede un contraddittorio con i suoi “carnefici” (sportivi, per carità), ma gli è negato. Nonostante le catene e nonostante sia a questo punto l’unico modo che ha per difendersi. La loro credibilità è “intrinseca”. Non ci sono riscontri certi. Il Varese vince la gara con il Piacenza che avrebbe dovuto perdere (o pareggiare, a seconda della versione). Carobbio viene ritenuto “pentito” quando in realtà nega e semmai accusa. Gervasoni è lo stesso che dinanzia alla procura federale, il 13 aprile 2012, riferisce di una cinquantina (ripeto: una cinquantina) di partite combinate andando a memoria e ricostrunedo a mente tutte le situazioni. Tanto basta, però, per rovinare una persona senza che possa difendersi. In un processo serio, a prescindere se sportivo o penale, senza riscontri non si andrebbe da nessuna parte. E invece questa è la giustizia sportiva di cui Abete e Petrucci si vantano.