Se c’è una lezione che avremmo dovuto imparare da Calciopoli è che basare i processi sportivi sulle sole informative di un’indagine ancora neanche terminata è sbagliato sia perché concettualmente lesivo del diritto alla difesa, sia perché anche in concreto può portare al verificarsi di situazioni di disparità di trattamento (non sempre ciò che penalmente è ritenuto irrilevante lo è anche per la giustizia sportiva, e Napoli ne è la dimostrazione scolastica grazie proprio alla relazione Palazzi che ha individuato forti profili di responsabilità nelle telefonate che “piaccia o non piaccia” l’accusa aveva “scartato”, a voler essere buoni). Non lo dico io, ma l’ha ammesso Francesco Saverio Borrelli, allora a capo delle indagini per la FIGC, dinanzi alla 2a Commissione Permamente (Giustizia) del Senato in data 14 settembre 2006 con particolare riferimento alle intercettazioni.
In particolare desidero intervenire con riguardo all’imbarazzo in cui una parte si trova davanti al giudice sportivo. Soltanto alcune intercettazioni sono infatti state utilizzate nel procedimento. Condivido l’obiezione del senatore Manzione: sarebbe opportuno che fosse mantenuta la stessa garanzia prevista per il giudizio ordinario anche davanti al giudice sportivo; in particolare, secondo le previsioni del disegno di legge che è in corso di gestazione, è previsto che la parte interessata possa aprire un contraddittorio e chiedere che ulteriori conversazioni vengano acquisite in quanto favorevoli o utili per la sua difesa. Allora, forse, una cautela che bisognerebbe adottare è quella di consentire la trasmissione delle intercettazioni telefoniche dal giudice ordinario al giudice sportivo (sempre che non ostino ragioni discrezionalmente valutabili dal procuratore della Repubblica o dal giudice ordinario), ma soltanto dopo che si e` superata quella fase in cui le parti private possono chiedere l’ampliamento del materiale intercettato. In questo modo si trasmetterebbero infatti, non soltanto le intercettazioni accusatorie, ma anche quelle utilizzabili per la difesa. Se poi, per ragioni di prontezza di intervento della giustizia ordinaria, il procuratore della Repubblica ritenesse di dovere trasmettere subito un input ad un collega di un’altra sede o ad una procura diversa (non dico anche al giudice sportivo) perchè sono emersi dati che necessitano di un impossessamento e di un’utilizzazione immediata ai fini investigativi, si potrebbe allora stabilire che, fintantochè non è completato l’iter dell’esame di tutte le intercettazioni e della legittimità, gli atti trasmessi all’altra procura o all’altro giudice o all’autorità sportiva siano utilizzabili soltanto come input per promuovere delle indagini. Quindi che non siano utilizzabili processualmente, ma che possano servire soltanto come segnalazione di piste da seguire o di accertamenti da compiere. Ma, ripeto, che non siano direttamente utilizzabili nel processo. Questo potrebbe essere un aggiustamento che forse attenuerebbe o eviterebbe gli inconvenienti che segnalava il senatore Manzione.
Capisco la necessità di essere rapidi, perché le pene devono essere afflittive, ma l’indagine in corso a Cremona, in attesa di saperne di più da quelle di Bari e Napoli, ha già posto in essere un altro problema sul quale, a mio avviso, ci si dovrebbe interrogare maggiormente. Mi scuserete se ci ritorno, ma l’esempio che ha coinvolto Rijat Shala (qui per un approfondimento) è in tal senso lampante: cittadino svizzero, non indagato in Italia, compare perchè nell’ordinanza del GIP dr. Salvini, viene nominato dal “pentito” Gervasoni nell’interrogatorio del 27 dicembre 2011. Questa, in particolare, la frase dove compare:
“ora che me ne fate il nome confermo dovrebbe trattarsi dell’albanese Shala”
Se Shala fosse penalmente indagato (non lo è), il suo avvocato avrebbe gioco facile nel chiedere l’inutilizzabilità di tale affermazione perché ”indotta” in un modo non consentito in un interrogatorio. Insomma l’affermazione sarebbe depennata e, non essendoci altri riscontri, probabilmente una richiesta di rinvio a giudizio sarebbe stata respinta dal GUP senza neanche perderci troppo tempo. Palazzi, invece, a capo dell’ufficio indagini della FIGC, non solo ha inteso utilizzare tale virgolettato, ma ci ha costruito sopra (non avendo altro: nè evidenze, nè movimenti di denaro, nè riscontri incrociati) una richiesta di squalifica per 3 anni e 6 mesi, col giocatore che dovrà difendersi (e francamente non immagino come, essendo la sua parola contro quella di Gegic, calciatore serbo indagato ma a piede libero nonostante una richiesta di cattura internazionale, mai ascoltato finora e che mai ha confermato tale versione del Gervasoni).
Non so a voi, ma a me qualche perplessità sorge: possibile che per la furia di squalificare presunti colpevoli si passi sopra a queste basilari regole di buonsenso, oltre che di diritto? Ok, l’accusa non è una sentenza e Gegic potrà difendersi, tutto quello che volete, ma la dignità chi gliela restituirà, nel frattempo? Io non so se abbia scommesso o meno, ma credo che si debba restare nell’ambito del “provabile”, senza necessariamente forzare la mano, anche a costo che qualcuno la faccia franca: meglio un colpevole assolto per insufficienza di prove che un innocente condannato.
Ma ho diverse perplessità anche in relazione al modo di operare che in generale sta caratterizzando tanto la procura di Cremona (ma non entro nel merito, in questo caso) quanto soprattutto il lavoro proprio dell’ufficio indagini della FIGC: l’obiettivo, difficile, è rompere il muro silenzio e sconfiggere l’omertà che la fa da padrone. Per farlo, si “promette” agli indagati che confessano dei sostanziosi sconti di pena qualora dovessero fare dei “nomi” permettendo così di “scovare” nuovi potenziali scommettitori o aprire nuovi filoni dell’inchiesta (qui per approfondimenti). E’ il caso, su tutti, di Filippo Carobbio, che di nomi ne ha tirati fuori tanti, non ultimo quello di Conte (addirittura prima dinanzi al viceprocuratore FIGC e poi dinanzi al PM). L’ex Senese se l’è cavata con una richiesta di 20 mesi di squalifica pausa estiva inclusa. Ma è anche il caso di Gervasoni e di altri pentiti, non solo il suo (solo oggi si apprende dai giornali che Ruopolo, Conteh e Joelson abbiano evitato il carcere proprio perché ”premiati” da nuove rivelazioni miste a confessioni).
E mi starebbe anche bene, se non fosse che ci sono state due recenti dichiarazioni che devono per forza farci fermare e riflettere se non ci si stia spingendo un po’ troppo oltre.
Marco Paoloni: «Io potevo, volevo collaborare. Palazzi mi ha detto: “Se tu dici questo, avrai uno sconto della pena”. Ma perché avrei dovuto dire cose che non ho fatto?».
Thomas Locatelli: «Mi dicevano che dovevo collaborare, dovevo fare dei nomi, ma io di nomi non ne avevo. Non mi sembra corretto tirare in mezzo giocatori che non c’entrano nulla solo per alleggerire la mia posizione. Invece vedo gente che ne ha fatte di tutti i colori, che magari ha sparato qualche nome grosso, forse perché c’entra forse perché fa sensazione, e adesso si becca sconti di pene, magari solo 20 mesi».
Fin troppo chiaro il riferimento.
E allora c’è gente che finisce coinvolta per un “osservandolo in campo mi rendevo conto che era d’accordo con la combine”, per un incontro avvenuto prima di una partita dove l’accusatore non era nemmeno presente, per sentito dire, perchè un amico “di cui non ricordo il nome” di un presidente avrebbe chiesto di, perché ”credo”, “se mi ricordo bene”, “dovrebbe essere”. In alcuni casi c’è gente come l’avvocato di Job che lamenta addirittura uno scambio di persona, perché il Gegic di turno avrebbe fatto il suo nome ma si sarebbe confuso con Conteh, altro “colored” in forza alla stessa squadra.
E allora va bene tutto, va bene voler cercare di combattere un fenomeno che – ne sono convinto – non riguardi solo 40-50 “sfigatelli” (Prandelli pessimo su tutta la linea: il problema esiste ed è serio, e va combattuto) ma sia purtroppo esteso e assolutamente irritante. Però vi lascio con una domanda: può bastare secondo voi quanto risposto proprio a Paoloni (uno dei primi grandi “mostri” di questa inchiesta) dall’ufficio indagini della FIGC?
«Spero che la giustizia ordinaria faccia chiarezza al più presto perché voglio tornare a vivere, mentre quella sportiva mi ha deluso tantissimo. Con il calcio posso aver chiuso per sempre ma non ho chiuso con chi mi ha condannato. Ce l’ho a morte con la giustizia sportiva. Avevano già deciso le pene prima del processo. Al procuratore federale ho chiesto: “Ma come potete condannarmi se la giustizia ordinaria non mi ha ancora condannato?”. Mi hanno risposto: “Potrai sempre chiedere il risarcimento”»
Non so se questa gente sia colpevole o meno, ma per me – a prescindere – no. Auguro buon lavoro agli inquirenti sperando facciano il più possibile chiarezza su questa piaga che rischia di rovinare per sempre la credibilità del gioco più bello del mondo, ma ricordiamoci, nel farlo, di non abbattere tutti quei paletti che differenziano un giusto processo da una caccia alle streghe.