Scrivo questa riflessione a mio rischio e pericolo sapendo che in tanti, dopo le prime righe, cliccheranno la x in alto a destra dello schermo, vuoi perché disinteressati, o – ancora peggio – perché fatalisticamente rassegnati (brutta cosa, bruttissima). “Inutile sprecare altre parole, tanto si è capito benissimo che quello che dovevano fare l’hanno fatto: squalificare Conte e stop”. Me lo ripetete, puntualissimi, ogni volta che tiro fuori l’argomento, ed è anche piuttosto vero. E’ la teoria dei danni collaterali, ovvero del “dovevano fermare lui e chi ci è finito in mezzo, spiace ma era necessario”. Forse è andata così, ma vorrei provare un attimo ad andare oltre, anche se il dubbio che sia davvero così viene anche e soprattutto analizzando come i media abbiano trattato e continuino a trattare l’intera vicenda del calcioscommesse: con il ritorno in campo dell’allenatore bianconero (e l’addio a tutte quelle eccitantissime storielle sui tunnel dello Juventus Stadium, sui cellulari in panchina, sugli account twitter non ufficiali attivi durante le partite, ecc) i riflettori si sono infatti spenti definitivamente e chissenefotte degli altri, di Palazzi, del Tnas, eccetera. Il buon Antonio, vero “core business” (cit.) della stampa sportiva italiana, è tornato “libero”, quindi “tutto è bene quel che finisce bene” o “bene un cazzo!”, fate voi, ma oltre non si va. Se escludiamo la parentesi Napoli, ed escludiamola che è meglio, dei vari Drascek, Vitiello, Terzi, Italiano, Pesoli eccetera non si sente parlare più, ammesso qualcuno ci abbia mai scritto qualcosa prima. Carobbio non finisce più nei magazine con la moglie, Doni fa interviste che poi vengono smentite dal suo legale e Procure e procuratori non finiscono più nei tiggì.
Eppure ci sono storie che meriterebbero ancora di essere raccontate. Non entro nei dettagli, tranquilli, però c’è ad esempio Franco De Falco, ex direttore sportivo del Piacenza, tirato in ballo da Carlo Gervasoni che lo ha accusato di omessa denuncia de relato tramite Mario Cassano. Che ha negato tutto. Ne avete mai sentito parlare? Dubito. Ragioniamo in mesi: per lui Palazzi ne chiese 54, in primo grado la Commissione Disciplinare gliene ha comminati 45, in appello la Corte di Giustizia Federale è scesa a 12 e ora il giudizio è sospeso al TNAS. Letteralmente, perché nonostante la pronuncia fosse attesa entro il 3 dicembre, tutto ancora tace. Compresa l’indignazione dei media. Non è Conte, vero. Né c’entra il tecnico bianconero. Però sono storie di malagiustizia che prima o poi qualcuno dovrà prendersi la responsabilità di raccontare.
E sono tante.
Al nostro Antonio Conte è “bastato” (tra virgolette) infatti poco più di un mesetto per farsi giudicare dal Tribunale Nazionale di Arbitrato per lo Sport. Agli altri, invece, tale privilegio (certo, ne avrebbe fatto volentieri a meno, Conte, nel senso che resta una vittima di questo sistema anche lui, non ho cambiato affatto idea) non è concesso quasi mai. E devono aspettare, e aspettare, e aspettare. Non solo il danno, ma anche la beffa, come quella subita da Mavillo Gheller, fermato sei mesi e prosciolto in ultimo grado a novembre. E’ un vecchietto il buon Mavi, glielo dico con affetto, quindi il danno alla sua carriera non è stato grande (era più un fatto di giustizia e di immagine: poi ai figli cosa gli racconti?), ma ci sono anche 25nni condannati a 3 anni cui ogni giorno in più, dal loro punto di vista, è un giorno in più di ingiustizia.
C’è poi chi da illecito si è visto condannare per slealtà sportiva. Neanche omessa denuncia, ma proprio art. 1. Perché boh, forse ancora più facile da dimostrare, nel senso che serve meno. Chiedete a Vincenzo Italiano, condannato nei primi due i gradi di giustizia sportiva a 36 mesi, ridotti a 9 dal Tnas, con una sentenza arrivata sul filo di lana dopo un’attesa di tre lunghissimi estenuanti mesi. Chiedete ad Emanuele Pesoli (o, se volete, a Gianello, ma si è detto di non parlare del Napoli che è meglio).
C’è Alberto Fontana, prosciolto in “terzo grado” dopo che nel secondo si era beccato 42 mesi di squalifica. Non ci voleva neanche andare, al TNAS. Era rassegnato, come tanti. Come i tantissimi che hanno preferito patteggiare anche senza colpe (mostro giuridico italiano se ne esiste uno) pur di evitare processo e gogna mediatica. Lo ha convinto il suo legale ed ha avuto ragione. Ma il solo fatto che gente innocente possa sentirsi talmente distrutta e sfinita da perdere per un attimo le forze dovrebbe far riflettere. Ma ovviamente non riflette nessuno.
Non entrerò nello specifico dei tanti casi, dicevo, poiché servirebbero pagine e pagine intere per raccontare tutto (magari un giorno lo farò pure, a mo’ di omaggio), però posso postarvi una tabella contenente le sentenze ad oggi note e pubblicate dal TNAS con protagonisti i calciatori condannati nell’ambito del secondo e terzo filone dell’inchiesta di Cremona. Non sono ovviamente gli unici due filoni attivi (c’è Bari uno, due, Genova, Roma, Napoli, ecc..), ma li “uso” a livello esemplificativo perché, al di là di tutto, la riflessione viene anche piuttosto facile: basta leggere.
Gianluca Nicco = CDN 36 mesi -> CGF 12 mesi -> TNAS 6 mesi
Alberto Fontana = CDN 42 mesi -> CGF 42 mesi -> TNAS prosciolto
Daniele Vantaggiato = CDN 36 mesi -> CGF 36 mesi -> TNAS 6 mesi
Andrea Alberti = CDN 42 mesi -> CGF 36 mesi -> prosciolto
Vincenzo Iacopino = CDN 42 mesi -> CGF 36 mesi -> TNAS 12 mesi
Nicola Ferrari = CDN 36 mesi -> CGF 36 mesi -> TNAS prosciolto
Mavillo Gheller = CDN 6 mesi -> CGF 6 mesi -> TNAS prosciolto
Emanuele Pesoli = CDN 36 mesi -> CGF 36 mesi -> TNAS 10 mesi
Fernando Coppola = CDN 6 mesi -> CGF 6 mesi -> TNAS 4 mesi
Nicola Belmonte = CDN 6 mesi -> CGF prosciolto -> TNAS 4 mesi
Antonio Conte = CDN 10 mesi -> CGF 10 mesi -> TNAS 4 mesi
Angelo Alessio = CDN 8 mesi -> CGF 6 mesi -> TNAS 2 mesi
Vincenzo Italiano = CDN 36 mesi -> CGF 36 mesi -> TNAS 9 mesi
Quel CDN rappresenta il primo grado della giustizia sportiva dinanzi alla Commissione Disciplinare, il CGF è l’appello presso la Corte di Giustizia Federale e il TNAS è ovviamente l’arbitrato presso il CONI che “chiude” il cerchio. Come potrete notare, le differenze tra un grado e l’altro spesso sono anche enormi, quasi mai (anzi: mai) si hanno tre giudizi simili, vi sono addirittura situazioni di condanna-assoluzione-condanna. E forbici che vanno anche dai 42 mesi al proscioglimento, in un solo grado di giudizio. Cioè: senza che siano intervenuti necessariamente fatti nuovi, un gruppo di persone ti giudica condannandoti al massimo della sanzione possibile, un altro ti proscioglie, magari scrivendo pure nelle motivazioni che qualcuno ti dovrebbe pure delle scuse.
C’è chi vede in queste montagne russe (quasi sempre sono degli scivoli, in realtà, dall’alto verso il basso) il trionfo del garantismo della giustizia “all’italiana”. A me viene difficile. Scusate, ma non riesco che a vederci tanta “politica” (in primo grado si condanna quasi sempre per non far fare brutta figura al Palazzi di turno, poi si comincia ad essere un filino più garantisti per porsi solo alla fine la domanda: “Oh, ma l’ha fatto veramente?”). Purtroppo, a leggere questi dati, la sensazione che resta non è quella di una giustizia sportiva che “va bene così” (cit.). Non va bene niente, e a volte, più che le leggi, sono le persone. Se potete, leggeteveli alcuni di questi lodi. Li trovate nel sito della FIGC o in quello del CONI. Non sono assoluzioni: sono condanne, accuse dirette e gravi nei confronti delle corti giudicanti precedenti, verso le quali spesso sono indirizzati rimproveri, frecciate, critiche. Non dagli avvocati (che ne avrebbero anche l’interesse), quindi. Non dagli juventini. Non da Conte o dalla Bongiorno. No. Dagli arbitri del CONI. E allora, forse, quel “trionfo” lo si dovrebbe leggere in maniera differente. Allora, forse, qualcuno dovrebbe ammettere di aver lavorato male. Qualcun altro, responsabile di tutto, dovrebbe pensare meno alle poltrone e più a certi scempi. Altri ancora, invece di rinnovare la carica a tutti, avrebbero potuto porsi delle domande.
Trionfo. Forse. Ma dell’incompetenza e della “politica”. Triste. Tristissimo.