“Le investigazioni hanno confermato la voce corrente e, cioè, l’influenza del mondo arbitrale nella conduzione delle gare”. Comincia così, con questa frase lapidaria, il capitolo intitolato “I rapporti con il mondo arbitrale”. Una sentenza, quella di BORRELLI, che non lascia scampo al calcio italiano, truccato. Ciò che emerge soprattutto, per il capo ufficio indagini appena nominato, è “una fitta rete di rapporti tra i due designatori arbitrali con alcuni soggetti di determinate società e, in particolar modo, con soggetti facenti capo alla Juventus, al Milan, alla Fiorentina e alla Lazio”. Come già spiegato nel primo capitolo, in realtà le telefonate tra i due e i dirigenti di queste squadre sono nelle informative esclusivamente perché l’indagine penale aveva come protagonista Luciano MOGGI, e tali telefonate servivano nelle intenzioni a dimostrare un reato di associazione a delinquere. I due designatori, in realtà, telefonavano a tutte le società, e lo facevano alla luce del sole, addirittura tramite un telefono cellulare federale, pagato dalla Federazione stessa, che anzi li invitava a intrattenere rapporti telefonici. Gli arbitri, infatti, volgarmente detto, erano quell’anno “pagati” direttamente dalle Società, e tale indicazione era volta proprio a dare “soddisfazione” ai dirigenti, che avrebbero così evitato di lamentarsi pubblicamente, facendolo in privato, e chiedendo spiegazioni lontani dai riflettori della stampa. BORRELLI questo lo ignora, colpevolmente, così come i Carabinieri, e ne enfatizza a dismisura il comportamento (lecito), facendolo passare per vietato/inopportuno, quando in realtà non lo era affatto.
Ciò che effettivamente non era permesso, invece, erano i rapporti avvenuti tramite l’uso di “utenze riservate” delle quali “sembrano” servirsi MOGGI, BERGAMO e PAIRETTO. I primi due hanno ammesso il loro uso (anche se Bergamo inizialmente fu contraddittorio, dinanzi all’ufficio indagini), ma MOGGI, che è parte lesa nel processo sul dossieraggio illegale TELECOM, ha spiegato come facesse uso di schede straniere per evitare intercettazioni industriali ai suoi danni, ossia perché si era reso conto che, usando le sim “italiane”, ogni trattativa di mercato che portava avanti finiva per arrivare alle orecchie di alcuni concorrenti, in particolare dell’Inter. Ciò ovviamente non giustifica, dal punto di vista sportivo. Ma è doveroso aprire una parentesi per i “colpevolisti”: non sono mai nominate, nella relazione, le sim che i Carabinieri attribuiscono con analisi postdatata ad alcuni arbitri “svizzeri”: ciò significa che le sentenze sportive del 2006 non ne tennero affatto conto, e ciò dimostra ancora di più – se possibile –quanto sproporzionate furono nei confronti della Juventus.
C’è infine da aggiungere come tali sim “riservate” in realtà non solo non erano riservate, ma erano anche intercettabili (tanto è vero che furono intercettate, ma troppo tardivamente, non trovando più traffico). C’è però una telefonata, effettuata dal fisso di BERGAMO alla sim svizzera di MOGGI, probabilmente per errore, che è stata intercettata e – anzi – è divenuta “la madre di tutte le telefonate” dell’ex direttore bianconero: trattasi di grigliata dove tra l’altro Moggi non chiede mai di inserire un determinato arbitro in griglia, ma si confronta col designatore su chi potesse finirci. BERGAMO ascolta, si confronta, e poi compone una griglia diversa da quella di MOGGI, tanto è vero che alla fine risulterà sorteggiato un arbitro non proposto dal diggì bianconero.
Nell’unica telefonata intercettata, insomma, nonostante i due non si fossero ancora accorti dell’errore compiuto e del fatto che fossero in quel momento intercettabili (e intercettati), non vi è niente più che: “Ora ti dico quello che mi ero studiato io”, “mi sembra una partita abbastanza importante! Mi sembra, eh?”, “Io credo… credo che questa qui non abbia… non abbia nessun problema questa griglia, penso. Lo penso io, poi sai, nel calcio non si sa mai, se son problemi o meno, però…”. Un confronto, come detto. Inopportuno, probabilmente. Ma niente griglie imposte, nessun illecito compiuto, un’influenza tutto sommato bassa esercitata (se è vero che alla fine, come detto, la partita della Juve l’arbitrerà un fischietto non “studiato” da MOGGI).
Oggi invece, sempre per chiudere il discorso “grigliate”, si è scoperto come vi furono dirigenti che non solo “grigliavano” allo stesso modo con i designatori (non si pensi solo all’Inter, ma per paradosso persino a società costituitesi parti civili nel processo penale in corso a Napoli, che accusano la Juventus proprio di aver fatto la stessa cosa, tramite MOGGI e GIRAUDO). E sono venute a galla anche telefonate, queste sì dell’Inter e in particolare dell’allora presidente Giacinto FACCHETTI, nelle quali vi è addirittura un tentativo di bypassare il sorteggio, suggerendo di comporre una griglia con arbitri preclusi in modo da far sorteggiare l’arbitro “preferito” (COLLINA). Al solito, non si tratta di un giustificare un comportamento dicendo “così facevan tutti”, ma – come sostenuto con forza dall’inizio – se di “Calciopoli” (processo al Calcio) si parla, sarebbe (stato) bene inquadrare, prima di emettere giudizi morali, sportivi e/o penali, quello che in realtà succedeva a 360° tra i designatori e tutti i dirigenti delle squadre di Serie A e persino di B.
L’avessero fatto sin dal 2006, sicuramente le sentenze sportive sarebbero state diverse, e alcune società autoproclamatesi oneste e vittime di un sistema di rapporti cui non facevano parte, sarebbero finite a pieno titolo nell’inchiesta, allo stesso modo della Juventus. Questa è la vera ingiustizia per cui, ad oggi, una revisione completa ex art. 39 delle sentenze sportive pare davvero doverosa.